24 febbraio, filmati, fotografie, resoconti scritti e verbali su centri urbani, scuole e ospedali ucraini colpiti dai missili russi hanno segnato pressoché la nostra quotidianità suscitando generale condanna verso l’aggressore e solidarietà per l’aggredito. E la totale condivisione dello sdegno di giornalisti e commentatori pronti a ricordarci come le norme del diritto internazionale umanitario vietino tali atti bellici nel tentativo (tanto lodevole, quanto, ahimè, vano) di regolare i conflitti. Filmati, immagini, racconti che hanno dunque generato generale indignazione.
Oggi mi sento invece indignato per il quasi generale silenzio che alle nostre latitudini, ma non solo, è gravato sulla denuncia di Amnesty International (forse anche perché fui fra i promotori di Amnesty Ticino) di giovedì 4 agosto sull’operato delle forze armate ucraine. La celebre Ong ha presentato un documento (facilmente rintracciabile su Google), frutto di mesi d’indagini, con cui denuncia l’esercito ucraino di avere acquartierato le proprie truppe in edifici abitati da civili, comprese scuole e ospedali, di avervi anche istallato postazioni di fuoco, trasformandoli di fatto in obiettivi militari, e ciò senza nemmeno preoccuparsi di mettere al riparo i civili. Il governo ucraino ha immediatamente smentito, e AI ha subito confermato.
Ovviamente sono accuse, e difese, sulle quali si può discutere a lungo, con solidi argomenti a favore o contro le une o le altre. Ma non si può ignorarle, qualunque sia la posizione di chi è chiamato a darne notizia.
Da giornalista (ottantenne, forse alla soglia del rincoglionimento senile) resto del parere che fornire tutte le informazioni non sia solo doveroso, ma indispensabile alla conoscenza, all’arricchimento intellettuale e contro lo stagnamento culturale, e all’esercizio della libertà di pensiero e di parola.
A meno che si pensi che anche Amnesty International sia da annoverare nella schiera dei filo-putiniani, e quindi da censurare, come suggerisce Zelensky ed eseguono i suoi fedeli supporter.