Poco prima di Natale è scomparso il prof. Enrico Pedrazzoli, Chico per colleghi e amici, a lungo docente di diritto e di economia politica a Bellinzona, sia alla Commercio che al Liceo economico-sociale (Les). Pedrazzoli faceva parte di quella piccola ma agguerrita pattuglia che negli anni 70 si gettò a capofitto nell’impresa di fondare una nuova scuola superiore: bisogna impegnarsi senza risparmiare sforzi già solo per vedersi riconosciuto il diploma di maturità da parte delle autorità federali. Ma il Les era qualcosa di più: era una scommessa, un laboratorio, un indirizzo che poneva al centro lo studio della società in tutte le sue articolazioni, e dunque anche una disciplina ritenuta sospetta come la sociologia. Per noi, che scendevamo dalle valli, grezzi ma curiosi e assetati di sapere, fu una sorta di epifania. Nelle aule risuonavano i nomi di autori mai uditi prima, orientamenti che all’estero già circolavano ampiamente, ma non nelle pagine dei nostri quotidiani, e men che meno nei partiti. Per esempio la geografia umana sulla scorta dei manuali di Pierre George, oppure, in campo storico, la scuola francese delle “Annales”. Pedrazzoli era prodigo di consigli di lettura. Come testo base aveva adottato gli “Elementi di economia politica” di Claudio Napoleoni, un economista non accademico di cui raccomandava pure le lezioni raccolte nel volume “Il pensiero economico del 900” edite da Einaudi. Frequenti erano anche i riferimenti all’inglese Joan Robinson, discepola di Keynes e sua continuatrice nel campo della “scienza triste”.
Nelle ore di diritto riusciva a calare i fondamenti della materia nel magma incandescente dell’attualità per stimolare riflessioni e risposte: la questione dell’aborto, le aspre polemiche intorno alle iniziative Schwarzenbach, il dibattito sulle droghe. Politicamente erano anni caldi. La Spagna del generalissimo Franco, il Cile di Pinochet, l’avanzata del Partito comunista di Berlinguer in Italia, gli echi del ’68, i giornali e le riviste militanti. Un mondo che oggi pare lontanissimo, ma che allora infiammava le assemblee, con qualche esuberanza di troppo. Pedrazzoli osservava attentamente quell’agitarsi intorno a proclami e rivendicazioni, ma non mancava di criticare la scorciatoia dell’“assemblearismo”. La democrazia è altra cosa, ci diceva; non è potere dei leader, non è cavalcare slogan e assecondare le emozioni del momento, ma un insieme predeterminato di regole, il cui rispetto è fondamentale per evitare di cadere nell’arbitrio e nella demagogia. Come antidoto proponeva allora la lettura dei testi di Norberto Bobbio e di Giorgio Ruffolo, saggi prelevati da “Mondoperaio”, il mensile teorico edito dal Partito socialista italiano.
Oggi l’istituzione scolastica, vista dall’esterno, somiglia a una complessa macchina di Tinguely, il cui fine ultimo – la formazione, l’educazione, l’apertura delle menti – finisce spesso per scivolare in secondo piano sotto il peso delle direttive, delle riforme, delle sperimentazioni attuate o da attuare. Nel caso di Pedrazzoli e degli altri suoi colleghi tutto questo non c’era, o si scorgeva appena. Prevalevano altre qualità, come la passione per l’insegnamento, la disponibilità all’ascolto, il vaglio critico delle correnti culturali di ogni tendenza.