laR+ I dibattiti

Decs, torto e ragione

Lo scorso 11 dicembre questo giornale ha pubblicato le riflessioni di Giuseppe Cotti a proposito delle Direttive sui comportamenti inadeguati in ambito scolastico che il Decs, Dipartimento educazione cultura e sport, ha recentemente deciso di estendere alle scuole comunali. Nella sua condivisibile analisi Cotti afferma che “la cosa migliore sarebbe di cestinarle”. Nondimeno risulta di improbabile attuazione il rimedio proposto dal granconsigliere, cioè di “ritornare ad applicare il buon senso”. Applicare il buonsenso pare cosa ovvia, per definizione buona appunto, tant’è che pensarci risulta superfluo, un non-pensiero. Dove sta il buonsenso? E perché il Decs ha impartito le direttive?

Il buonsenso, tutt’altro che il senso comune, si pone tra la caratteristica individuale (io) e la condivisione pubblica (noi). È la capacità di ascoltare, di comprendere sul piano intellettuale e morale. Il buonsenso coincide con la ragione. Insomma, il valore di “buono” in aggiunta a “senso” appartiene al discernimento, alla sapienza e alla saggezza, alle virtù. Mi dispiace anche per Cotti, ma il buonsenso come soluzione rimane spiaggiato sull’isola di Utopia. Purtroppo oggi le persone sagge difficilmente fanno conquiste, specie nell’arte del governo.

Altro discorso all’apparenza è la necessità da parte del Decs di applicare le controverse direttive sui comportamenti inadeguati. Evidentemente la necessità deriva da un bisogno. Quale e di chi? Una possibile risposta la si può trovare negando che la Lord (legge sull’ordinamento degli impiegati dello Stato e dei docenti), come afferma Cotti, sia uno strumento che funziona “più che bene”. Anche la Lord contiene proprio quelle pericolose formulazioni che il granconsigliere considera vaghe e soggettive, avverse al buon clima e un invito a riprovevoli accuse. Qualche esempio. Il dipendente dello Stato si dovrebbe comportare con tatto e cortesia nelle relazioni con i suoi superiori. Una normativa unidirezionale e separatista che omette la dovuta reciprocità fra le parti e rimanda a concetti oltremodo incerti e di facile interpretazione unilaterale. E ancora, l’autorità di nomina può sciogliere il rapporto d’impiego per qualsiasi circostanza oggettiva o soggettiva oppure per il venir meno del rapporto di fiducia nei confronti del dipendente. Da notare, tra l’altro, che la componente oggettiva è contrapposta a quella soggettiva, una sorta di invito a interpretazioni personali.

Le norme sono strumenti, come lo sono la forchetta o la matita: nelle mani sbagliate possono diventare armi per offendere e comandare, mezzi coercitivi. Forse per evitare pericolose derive bisognerebbe iniziare a “cestinare” il più possibile quelle regole, o parti di esse, che comprendono componenti di giudizio soggettivo per dare spazio ad argomentazioni basate sull’oggettività, il dialogo trasversale e il pensiero critico.

La possibile soluzione non è quella di partire dal latitante buonsenso, ma un percorso in fieri di ritorno al buonsenso fatto di piccoli e retti passi.