Nel tratto del fiume Ticino compreso tra Bellinzona e Locarno, a monte del Lago Maggiore (il cosiddetto “Ticino sopra lacuale”), le condizioni morfologiche e idrologiche sembrerebbero adatte a consentire la navigazione di piccoli mezzi leggeri e a basso impatto ambientale, come canoe, kayak o imbarcazioni elettriche, a idrogeno o Gpl. Lungo i circa 13 km del percorso fluviale, la portata annua ammonta a decine di metri cubi al secondo, e la profondità, così come la larghezza dell’alveo, non rappresenterebbe un ostacolo insormontabile.
Nonostante queste premesse tecniche favorevoli, il principale ostacolo non è di ordine fisico, bensì normativo. Le attuali regolamentazioni, risalenti in buona parte agli Anni 70 e non integrate da norme cantonali più recenti, impediscono di utilizzare il fiume come via d’acqua. L’Ordinanza per la protezione delle Bolle di Magadino del 1979, emanata in un contesto storico molto diverso, non è mai stata seguita da una legislazione formale approvata dal Gran Consiglio, capace di definire criteri aggiornati per contemperare la tutela ambientale con le nuove tecnologie ecologiche. Il Piano di utilizzazione cantonale del Parco del Piano di Magadino (2014), invece di riconsiderare la situazione, ha semplicemente recepito senza modifiche le vecchie limitazioni, rinviando all’ordinanza del 1979.
Dal punto di vista del diritto federale, l’Ordinanza del 1992 sulle zone golenali non vieta la navigazione, ma chiede ai Cantoni di definire misure di protezione e manutenzione, identificando quali utilizzi – tra cui la navigazione sostenibile – siano compatibili con la salvaguardia dell’ecosistema. Ciò non è stato fatto, con il risultato di un divieto totale di fatto, nonostante l’evoluzione tecnologica permetterebbe oggi di minimizzare l’impatto ambientale dei natanti, perduri ancora oggi.
Nel confronto internazionale, si possono citare esempi più flessibili. Nel delta del Danubio, area Unesco, la navigazione di transito è consentita, così come nel tratto lombardo-piemontese del Ticino, dove, pur con la presenza di parchi e aree protette, è possibile una navigazione regolamentata. In Ticino, invece, manca l’adeguamento delle regole, e persiste un quadro rigido che preclude ogni trasporto su acqua tra Bellinzona e Locarno, ostacolando la mobilità intermodale, l’offerta turistica e la valorizzazione del territorio.
Sul piano transfrontaliero, l’Accordo italo-svizzero del 1992 potrebbe favorire l’integrazione, ma la Commissione consultiva mista prevista non risulta pienamente operativa, a causa dell’assenza di rappresentanti elvetici nominati in via stabile noti. Questa mancanza di dialogo vanifica ogni tentativo di pianificare uno sviluppo coordinato della navigazione interna nelle acque condivise tra Svizzera e Italia, limitando opportunità di trasporto sostenibile, turismo lento e rilancio economico locale.
In conclusione, il fiume Ticino sopra lacuale resta inutilizzato dal punto di vista della navigazione nonostante le potenzialità. Per sbloccare questo scenario, occorrerebbe un tavolo di lavoro congiunto tra autorità cantonali (Dipartimento del territorio, delle istituzioni, delle finanze e dell’economia), autorità italiane, enti di trasporto, operatori turistici e organizzazioni ambientaliste. Un confronto costruttivo, supportato da una Commissione consultiva mista italo-svizzera finalmente attiva, consentirebbe di rivedere norme e regolamenti, adeguandoli alle attuali realtà tecnologiche ed ecologiche. In tal modo, sarebbe possibile coniugare la protezione degli ecosistemi, la mobilità sostenibile e la crescita di competenze nel settore nautico, creando uno sviluppo equilibrato e innovativo non solo nel cuore del Ticino ma anche del territorio transfrontaliero.