Le aziende dell’acqua potabile hanno la responsabilità di rifornire la cittadinanza di acqua per tutti gli usi domestici, tra cui quelli alimentari e quelli connessi con l’igiene corporea. Tale responsabilità non si limita solamente a costruire e gestire le reti di tubazioni e gli impianti che prelevano l’acqua dalle sorgenti e la portano fino ai rubinetti. Essa comprende anche la messa in atto di tutte le misure ragionevolmente esigibili affinché la qualità di questo bene, al momento della presa in consegna da parte dell’utente, sia sempre ineccepibile. In poche parole vuol dire che chi la beve o la usa per lavarsi i denti non deve subirne un danno.
Negli anni la consapevolezza della vulnerabilità delle riserve di acqua verso la presenza di sostanze estranee è cresciuta molto. Anche il quadro normativo che regola la qualità dell’acqua potabile è evoluto assieme al progresso tecnologico: non appena la tecnica analitica si affina al punto da riuscire a rilevare una sostanza in concentrazioni che in precedenza passavano inosservate ecco che anche i limiti massimi legalmente tollerabili vengono abbassati di conseguenza. Anche i gestori degli acquedotti si sono man mano adeguati e hanno introdotto delle procedure sempre più articolate di controllo di qualità e di intervento in caso di non conformità.
Negli ultimi anni il Mendrisiotto è stato afflitto da alcuni eventi gravi che hanno compromesso l’uso normale dell’acqua potabile. Sorvolo sulla siccità del 2022, sulla quale nessuno può esercitare alcun controllo. Mi riferisco in particolare a due episodi, a loro modo clamorosi, di seria contaminazione della falda freatica. Nel 2008 il Pozzo Polenta di Morbio Inferiore è stato messo fuori uso dalla presenza di idrocarburi in concentrazioni eccessive. In seguito, durante la pandemia – era il 2020 –, il Pozzo Prà Tiro di Balerna è stato interessato dalla presenza, sia pure in quantità ancora tollerabili, di un componente della famiglia dei cosiddetti inquinanti eterni: lo Pfos. In entrambi i casi il ripristino della situazione a seguito di tali eventi ha comportato per la popolazione proprietaria degli acquedotti un dispendio rilevante di risorse e di soldi, oltre a enormi disagi.
Entrambi i casi sono stati denunciati in sede penale e civile, ma cosa è accaduto? Entrambi i casi sono stati archiviati per intervenuta prescrizione. Un periodo di prescrizione di dieci anni – che decorre dal momento presunto in cui l’atto denunciato sarebbe avvenuto per l’ultima volta – in cui c’è tutto il tempo per indagare approfonditamente, soprattutto in presenza di sospetti palesi, e per attribuire, dove ci fossero, le responsabilità.
Confesso che per chi come me si trova al fronte ed è tenuto a fornire alla cittadinanza tutte le informazioni e le spiegazioni necessarie si tratta di una situazione estremamente frustrante, al punto che sono arrivato a domandarmi: ma allora inquinare è lecito? E se non lo è, la si fa comunque franca? Più seriamente ritengo auspicabile che la nostra giustizia, che ultimamente si è lasciata andare a futili e vergognosi siparietti, si dia una bella regolata e svolga il suo lavoro tempestivamente, a tutela di tutti i cittadini.