I correttivi da apportare al nostro mercato del lavoro sono molteplici e tante sono le misure da implementare con urgenza. Ma ci vuole coraggio
Nell’ormai lontano 2013 fui tra i promotori dell’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino”: avevo firmato l’iniziativa come proponente proprio perché ero fermamente convinta della necessità di introdurre un salario minimo per arginare la spirale negativa dei salari innescata, tra l’altro, dalla libera circolazione delle persone. Il 14 giugno 2015, con grande sorpresa di molti scettici che l’avevano data per morta nella culla, il popolo approvò la proposta: una decisione storica.
Qualche anno dopo, nel 2019, di fronte allo stallo politico che ne ritardava l’applicazione, mi feci portavoce di una soluzione che permettesse di uscire dall’impasse: l’adeguamento del salario minimo in tappe graduali, soluzione che fu poi applicata. Non mi furono risparmiate critiche dagli oppositori politici intenti a denigrare chi sin dalla prima ora si era battuta per l’introduzione nella nostra Costituzione di questo passo fondamentale e cercava, con pragmatismo e buon senso, di superare i veti incrociati.
Finalmente nel 2021, dopo ben sei anni dall’accettazione del popolo, il salario minimo vide la luce proprio grazie all’approccio graduale di cui fui una delle prime propugnatrici. Oggi, a distanza di tre anni dalla sua introduzione sappiamo di aver avuto ragione. Le analisi indipendenti mostrano che il salario minimo ha avuto solo effetti benefici sul mercato del lavoro ticinese, con buona pace delle cassandre che paventavano catastrofi per l’occupazione o l’economia.
La legge sul salario minimo ha portato a un aumento del 36% dei salari orari medi per i lavoratori che prima stavano sotto il livello salariale minimo. Essa ha avuto un effetto positivo sui lavoratori svizzeri (non è quindi una legge che “avrebbe favorito solo i frontalieri”). Per contro, non c’è stato nessun impatto negativo sui salari più alti e nemmeno un aumento della disoccupazione come pronosticavano i contrari all’applicazione di questa norma.
Siamo felici che ora si prosegua con gli aumenti graduali come proposto in passato. Questo non significa, tuttavia, che bisogna rimanere fermi a questa misura, anzi. Come abbiamo sempre detto, il salario minimo era un cerotto che serviva ad arginare il fenomeno del ribasso continuo dei salari, ingenerato dalla libera circolazione delle persone, ma da solo non basta.
I correttivi da apportare al nostro mercato del lavoro sono molteplici e tante sono le misure da implementare con urgenza. Misure che vanno dalle condizioni quadro (come, per esempio, la tassazione dei redditi da lavoro che potrebbe paradossalmente diventare un disincentivo al lavoro), alla formazione professionale, dal miglioramento dell’apprendistato al ripensamento degli uffici regionali di collocamento.
Per fare questo ci vuole coraggio, esattamente lo stesso coraggio che avemmo noi molti anni fa proponendo la modifica costituzionale alla base della legge e quello che ebbero i cittadini ticinesi approvandola. Ora Stato e aziende mostrino di sapere ancora trovare soluzioni condivise nell’interesse dei cittadini di questo Paese. Il popolo nel 2015 mostrò la strada. Basta seguirla.