Dall’inizio della guerra a Gaza abbiamo assistito nel mondo alla recrudescenza dell’antisionismo e dell’antisemitismo come non si vedeva da anni, e alimentati, con la loro narrativa, dai media con servizi unilaterali, paesi arabi, comunità musulmane radicalizzate e unite alla sinistra e, ultimamente, giudici con orientamento politico.
È ormai prassi consolidata condannare rapidamente Israele, ogniqualvolta vengano pubblicate notizie su presunte irregolarità da parte dell’Idf, rivelatesi poi false o addirittura commesse dalla controparte (gli attacchi all’ospedale al-Shifa e alla tendopoli di Rafah sono solo alcuni esempi in cui Hamas ha la coscienza sporca).
Molte organizzazioni si rifiutano di accettare il dolore esploso dopo l’assalto del 7 Ottobre, come quello delle donne stuprate, uccise e poi mutilate, e accusano di falsità le testimonianze degli ostaggi liberati. Tutto questo soltanto perché si tratta di ebrei.
Perfino l’Onu con Guterres e l’Icc con Khan hanno certificato ufficialmente il loro fallimento come istituzioni affidabili, per le scioccanti risoluzioni e l’equiparazione di Israele a un’organizzazione terroristica (i libri di storia li ricorderanno a dovere per gli anni a venire). Entrambe, però, si sono guardate bene dal giudicare al-Assad (600mila arabi uccisi e 2 milioni di sfollati), Raisi (il macellaio di Teheran), Kim (il cui popolo è alla fame), Erdogan (massacratore di curdi) e via dicendo; dittature del terrore, lasciate libere di perpetrare i loro crimini e che hanno il “privilegio” di non appartenere alla stirpe di Abramo.
Una parte del mondo non ha alcuna intenzione di comprendere né tantomeno conoscere la sofferenza del popolo ebraico, più volte militarmente attaccato dal 1948 e cui si imputa (quasi) tutti i mali del mondo, fra cui la tragedia del popolo palestinese; popolo vittima, invece, di Hamas e degli stessi paesi arabi, cui storicamente non è mai interessata la loro questione e che ne hanno sempre fatto un’arma contro Israele, uno Stato da loro mai riconosciuto finora (vedasi la Conferenza di Khartoum del 1973). Dopo 2'000 anni di diaspora e persecuzioni, il popolo ebraico continua, nonostante tutto, ad avere rispetto del prossimo; non amare, perché amare è un lusso che, comprensibilmente, non può più permettersi verso un mondo, che ne vuole cancellare per sempre l’esistenza.
Gli ebrei sono invece sempre lì, più forti e uniti di qualunque altro popolo, e tutti noi dovremmo prenderli a modello di umiltà, patriottismo, amore per la propria storia e identità religiosa; concetti che il mondo occidentale ha gettato alle ortiche da tempo e che rischia di consegnarsi nelle mani dell’islamismo estremo.
I segnali ci sono tutti e solo gli ingenui li sottovalutano. Ecco perché difendere Israele e i suoi valori vuol dire difendere anche noi stessi e i nostri principi; in caso contrario sarà solo questione di tempo, prima che la Shari’a condizioni ogni aspetto della nostra vita quotidiana.
E anche questa volta la colpa non sarà di Israele.