Invasione dell’Ucraina, propaganda sovietica di destabilizzazione, lavaggio del cervello per milioni di bambini nelle scuole del Partito comunista cinese (Pcc) in Tibet e nello Xinjiang, fanatismo religioso, terrorismo di Hamas, catastrofe umanitaria a Gaza, narco-guerre in America Latina esportate in Europa: distruggeranno il pianeta prima della realizzazione dei diciassette obiettivi delle Nazioni Unite per uno sviluppo sostenibile? È una corsa contro il tempo.
Qual è la strada imboccata da parte della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad)? Risposta: la riforma del regime degli accordi internazionali di investimento (Aii). Si tratta di una questione urgente: nel suo Rapporto del 2015 sugli investimenti nel mondo, l’Unctad affermava che “i leader dovranno informare il sistema degli Aii in modo da promuovere uno sviluppo sostenibile e rendere più coerenti i circa 3'300 accordi sugli investimenti che esistono attualmente. Questo Rapporto sottolinea che gli accordi stipulati fra un governo da una parte e una o più multinazionali dall’altra, possono limitare eccessivamente le norme statali promulgate allo scopo di raggiungere obiettivi di politica e di sviluppo”. E ancora: “Il loro meccanismo di regolamentazione delle vertenze attraversa attualmente una crisi di legittimazione, che non smette di accentuarsi”. Nel 2021, nel suo rapporto destinato all’Assemblea generale Onu, l’Unctad si limita ancora a consigli pratici, destinati agli Stati, riguardo alle modalità di negoziare gli accordi internazionali di investimento in modo che siano compatibili con i diritti umani e ciò in conformità ai Principi direttori dell’Onu riguardanti le imprese e i diritti umani.
Ancora nessuna decisione scaturisce dalla riunione dell’Unctad del 29.02.2024, allorché venne costituita una piattaforma multilaterale allo scopo di tentare di sbloccare la sospirata riforma degli Aii. In occasione della sua prima seduta, la piattaforma assicura di voler costituire un forum inclusivo “che favorisca l’allineamento della regolamentazione internazionale degli investimenti rispetto alle priorità dello sviluppo sostenibile”. Ma qual è la posta in gioco? Si tratta della clausola contenuta negli Aii secondo la quale gli investitori stranieri e gli Stati accettano di sottoporre le loro vertenze a un tribunale arbitrale privato. Secondo un rapporto dell’Unctad in occasione della sua Conferenza del 19.03.2023, si contavano 1’257 vertenze fra Stati e multinazionali sottoposte a tribunali arbitrali privati. Grazie a questo sistema, le multinazionali estere possono attaccare uno Stato nel quale abbiano effettuato degli investimenti. Per contro, queste clausole non prevedono la possibilità per uno Stato di rivalersi nei confronti di una multinazionale. Grazie a questo sistema, le multinazionali estere possono chiedere risarcimenti milionari allo Stato di un Paese in cui abbiano effettuato determinati investimenti. Il contrario però non è possibile, nel senso che le clausole non prevedono un arbitrato allorché sia lo Stato a reclamare il risarcimento di un danno nei confronti di una multinazionale. Per di più, le clausole che prevedono l’intervento di un tribunale arbitrale privato lasciano aperto il campo a interpretazioni troppo estese dei doveri dello Stato, e ciò protegge eccessivamente gli interessi degli investitori. Nel periodo dal 1987 al 2021 il 38% dei giudizi arbitrali si è concluso senza decisioni a carico di uno Stato. Però il 47% delle sentenze arbitrali è stato pronunciato in favore delle imprese multinazionali. Grazie a questo meccanismo, le imprese multinazionali hanno potuto ottenere il pagamento di somme miliardarie a titolo di risarcimento del danno, per il fatto che un determinato progetto non avesse potuto essere portato a termine. In questi casi si rimprovera allo Stato perdente di aver bloccato un determinato investimento, benché ciò fosse avvenuto nell’interesse dello sviluppo sostenibile di un determinato settore economico, oppure di un determinato territorio nazionale. Ecco alcuni fra i numerosi esempi. La società svedese Vattenfall, fornitrice di energia elettrica, ha richiesto 1,4 miliardi di dollari alla Germania nel 2009, accusando la città di Amburgo di aver reso le sue attività “non redditizie” per aver votato il divieto di una centrale elettrica a carbone che aveva inquinato il fiume Elba. Nel 2022 la società americana Prospera aveva richiesto 10,8 miliardi di dollari all’Honduras (pari a 2/3 del suo budget nazionale) per avere sospeso la creazione di una villa privata, prevista contrariamente alla legislazione sull’isola di Roatan. Nel 2015 l’Argentina venne condannata a pagare più di 400 milioni di dollari a numerose multinazionali perché aveva congelato le tariffe dell’acqua e dell’elettricità durante la sua crisi finanziaria del 2001/2002. Infine, un altro vantaggio per le multinazionali: il presidente dell’Ecuador aveva cercato di disdire un accordo internazionale di investimento con la Francia; dovette però scoprire a posteriori che anche in caso di disdetta di uno di questi accordi, una clausola prevedeva che il meccanismo del tribunale arbitrale restasse applicabile almeno per quindici anni dopo la data della disdetta.
Grazie a queste clausole contenute negli Aii, il numero delle cause avviate da parte delle multinazionali continua ad aumentare. In seno all’Unctad si elevano da anni preoccupazioni per il fatto che, attraverso queste clausole contenute negli Aii, si può sottrarre alla giustizia sovrana di uno Stato ogni vertenza riguardante un determinato investimento estero. È anche per questa ragione che persino l’Unione Europea, a partire dal 2021, ha lanciato e sviluppato un Programma d’azione denominato ‘Estinzione dei trattati bilaterali di investimento all’interno dell’Unione Europea’. Questa corsa contro il tempo riguarda, seppure indirettamente, anche il salvataggio delle democrazie, al punto che si parla di “colpo di Stato silenzioso”. Così concludono Claire Provost e Matt Kennard la loro impressionante ricerca (lodata da personalità come Noam Chomsky e Vandana Shiva), appena pubblicata con il titolo ‘Silent Coup. How Corporations overthrew democracy’.
Questo articolo è stato pubblicato in francese sulla ‘Tribune de Genève’