La separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) è un prodotto dell’Illuminismo, l’epoca in cui intellettuali progressisti elaboravano i principi della futura democrazia. Fu Montesquieu a formulare il principio della separazione dei poteri, in base a criteri ancora validi.
La separazione dei poteri (di sostanza e non soltanto di forma) è un caposaldo degli Stati democratici, in quanto mezzo destinato a evitare l’assolutizzazione dei poteri medesimi, a scongiurare l’avvento di un sovrano assoluto, che ancora esiste in molti Stati del mondo: il Leviatano di Thomas Hobbes, il tiranno che condensa nelle proprie mani tutti i poteri, civili e religiosi. Sovrano assoluto ritenuto necessario, nell’ottica dell’Ancien Régime, in base alla convinzione che soltanto un despota possa contenere gli istinti distruttivi insiti (o ritenuti tali) nell'homo homini lupus. L’individuo rinunzia, delegandola al sovrano, alla propria libertà naturale, allo scopo di vivere in pace (o di crederci).
Negli Stati democratici tale rinunzia, tale delega, sono revocate, partendo dal presupposto secondo il quale soltanto la libertà può garantire il benessere e il buon governo nell’interesse di tutti i cittadini (non più sudditi).
La separazione è in sostanza uno strumento destinato a evitare abusi da parte del potere. Il popolo dovrebbe avere la competenza di nominare i magistrati dello Stato, senza però esercitare direttamente il potere, poiché il governo popolare diretto tende a favorire l’avvento della demagogia e della dittatura, come accadde durante la Rivoluzione francese nel periodo del “terrore”.
Anche in Svizzera e in Ticino, stando al principio della separazione, dovrebbe essere il popolo a scegliere i magistrati, inclusi ovviamente quelli giudiziari. Invece l’attuale sistema prevede che i magistrati giudiziari siano eletti dal Gran Consiglio, cioè dal Potere legislativo. Tale sistema è di per sé contrario al principio della separazione dei poteri, anche perché tende a prestarsi a manovre partitiche strumentali, a scapito della valutazione oggettiva degli aspiranti.
In alternativa si può pensare all’elezione tramite voto popolare, oppure – preferibilmente – alla creazione di una commissione di esperti, composta da giuristi e altri specialisti sperimentati: ex magistrati, docenti universitari, tecnici in risorse umane ecc., prescelti dal Consiglio della magistratura.
La Commissione avrebbe il compito di esaminare e scegliere, con decisione vincolante, i migliori tra i candidati ai posti in magistratura vacanti messi a concorso. La commissione dovrebbe esaminare i candidati per mezzo di prove scritte e orali, test e quant’altro, senza lasciarsi influenzare da preconcetti di qualsiasi genere. Contro le decisioni della commissione dovrebbe essere data facoltà di ricorso alle competenti istanze di diritto amministrativo.
Va sottolineata la necessità che l’unico modo di accedere al concorso per i posti vacanti sia la presentazione della candidatura alla commissione da parte degli interessanti, prescindendo da presentazioni o non presentazioni partitiche o di altri terzi. Ciascun candidato alla prima nomina e alla riconferma periodica deve godere del diritto di essere “giudicato”, con relativa motivazione.
Oltre che per la nomina, la commissione dovrebbe avere un compito di vigilanza (non inquisitoria) e consulenza sui magistrati in carica, valutando la quantità e la qualità del loro operato e anche fornendo loro una consulenza operativa.