Alessandro Speziali propone di aspettare la fine del capitolo Partnerwerke (2048) per un cambiamento della nostra storia, quando “l’obiettivo sarà di lasciare una quota più ragionevole di indotto alle Valli (leggasi ‘canoni d’acqua’)”, rendendo le Valli “meno dipendenti dalla perequazione intercomunale” per accontentare tutti, “dalla Città di Lugano alle terre del Fondo del sacco”.
Un esercizio del genere è stato fatto nel 2010 con l’approvazione della modifica della Legge sulla perequazione intercomunale (Lpi) quale controprogetto all’iniziativa detta di Frasco, l’iniziativa dei Comuni che voleva la ripartizione dei canoni tra i Comuni e i Patriziati. Nonostante il fatto che il Consiglio di Stato abbia decretato che il riversamento dei canoni d’acqua (30% del totale) andasse inteso come una forma d’indennizzo per i disagi causati dagli impianti idroelettrici, la dozzina di milioni fu assegnata alla Lpi che li distribuisce tuttora con dei criteri tra cui manca proprio lo sfruttamento delle acque e i disagi che ha causato. Non me ne vogliano gli amici di Capriasca per l’esempio: dei 17 milioni che vengono distribuiti dall’ultimo aumento dei canoni, il Comune di Capriasca – nemmeno lontanamente toccato dalle opere idroelettriche – riceve Fr. 1’054’000, mentre Cevio, che conta sul proprio territorio dighe, centrali, prese d’acqua, elettrodotti e disagi vari, riceve Fr. 801’000.
L’iniziativa di Frasco è dunque stata privata della sua anima. Con la modifica della Lpi del 2010, di fatto, alcuni milioni che prima venivano versati dai Comuni ricchi nella perequazione, ora provengono dai canoni d’acqua. Un’operazione redditizia, ma per Lugano, non per quelli del Fondo del sacco, che invece si sentono presi per i fondelli.