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Negri, diavolo politico e maestro filosofo

È morto Antonio (Toni) Negri analista politico e filosofo della storia, intellettuale brillante discusso nei cinque continenti. Accusato di un rapporto di parentela col terrorismo politico degli anni di piombo, riconobbe l’arbitraria legittimità della violenza operaia e dovette scontare dieci anni di carcere.

Descritto come personaggio istrionico vulcanico febbrile, lo conobbi dal vivo nel 1970 al Sozialarchiv di Zurigo dove si tenne una Conferenza internazionale sull’industria dell’automobile. A me parve dotato di una notevole logica capace di allargare a tanti nessi e di promuovere di continuo punti di sintesi. Ma solo decenni dopo riuscii a capire meglio la cifra dell’uomo fuori dal comune quando lessi Lenta ginestra, il saggio denso e intenso su Giacomo Leopardi. Qui il poeta della struggente nostalgia del tempo che passa è visto con un piglio diverso: non è un idealista soggettivo, non un sensista solipsistico, non un pessimista metafisico, ma appartiene alla tradizione metafisica del materialismo, esprime lungo tutta la sua opera una metafisica materialistica e umanistica, una forte tensione etica, una continua rifondazione ontologica. Leopardi è dunque anche ottimista, il suo desiderio e la sua immaginazione aprono al futuro: “È rottura aperta sul tempo futuro munita di un’arma di amore e di desiderio”. L’ottimismo e il volontarismo di Negri mi hanno sempre impressionato.

Con Raniero Panzieri e Mario Tronti fu protagonista nel dare voce alle debordanti e accanite agitazioni operaie degli anni 60 e 70, fenomeno delle grandi fabbriche detto “operaismo italiano”. Le lotte erano sincroni in Europa soprattutto nel settore dell’auto e della chimica, periodo che portò le imprese a reagire rinnovando i cicli produttivi con ristrutturazioni e automazioni. Negri teorizzò l’“operaio sociale”, cioè il tipo di lavoratore formato al regime di fabbrica che ingloba la società intera dall’operaio alla casalinga. Scrisse la trilogia letta in tutto il mondo: Impero, visione analitica delle tensioni egemoniche, moltitudine, tendenza trasversale del soggetto storico, Commonwealth, democrazia assoluta del comune. Nessun minuto da pensionato per il filosofo, che continuò negli ultimi anni a parlare dell’ontologia della moltitudine, come alla Conferenza di Roma sul comunismo (2017): “L’autonomia della moltitudine si riappropria del capitale fisso, per farsi macchina dentro e contro la struttura macchinica dello sfruttamento. Il General Intellect è il luogo sul quale il capitale costruisce valorizzazione: è dunque sul cervello e sulla sua riappropriazione da parte del lavoratore collettivo che oggi va orientata la lotta. Come voleva Marx, il vero capitale fisso si rivela l’uomo stesso. Le istituzioni cooperative del comune sono costitutive, non conoscono né trascendenza né separatezza, non sono sovrane, sono l’immanenza del potere costituente. Prima c’è appropriazione del comune, mentre la presa del potere è sempre seconda”.