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Migranti in viaggio verso la morte

La migrazione è un argomento capace di sollevare grandi speranze, ma soprattutto grandi paure. Immagini strazianti, ritratti di innumerevoli individui in fuga o in cerca di una vita migliore, riempiono da anni i mezzi di comunicazione di noi abitanti del mondo sviluppato. Al largo di Pylos, nelle acque internazionali di fronte alla Grecia soltanto 104 dei circa 700 imbarcati sul mezzo diretto verso l’Italia sono stati tratti in salvo. Una politica che non previene le stragi ma le determina consapevolmente tradisce la costitutiva missione della costruzione della polis umana.

Inoltre, continua, “se le nostre città europee perdono il dovere umano di accogliere quanti sono disposti ad affrontare la morte pur di fuggire dalla disperazione e dalla guerra, non avranno altro futuro se non quello di nuove città di Babele in preda all’empietà e alla violenza. I cuori che si raffreddano diventano insensibili, indifferenti, sospettosi, e violenti. Non soccorrere chi rischia la vita, non salvare esseri umani (750 persone, membri della famiglia umana) è un crimine. Non educare all’accoglienza significa formare alla violenza. Ci indigniamo come cittadini e chiediamo prontamente scelte concrete per una politica migratoria libera da populismi e da interessi di parte, intelligente, accogliente e inclusiva. La modalità emergenziale di pensiero e di azione fa sì che anche strumenti che potrebbero avere un impatto positivo vengano di fatto utilizzati in maniera scorretta. È il caso, per esempio, della cooperazione allo sviluppo e della pratica delle policy “aiutiamoli a casa loro”. Promuovere lo sviluppo, inteso in senso ampio e non meramente economico, potrebbe portare le persone a scegliere di restare. Tuttavia, l’utilizzo dei fondi della cooperazione spesso non è atto a promuovere l’effettivo miglioramento delle condizioni nei Paesi di origine. Una fetta ampia viene di fatto utilizzata per il rafforzamento delle frontiere esterne e per finanziare azioni volte al management delle migrazioni e all’esternalizzazione dei confini. A pagare il prezzo sono soprattutto le persone che si imbarcano in questi viaggi sempre più pericolosi verso il sogno europeo. Che senza migrazioni ci troveremo senza chi porti avanti l’economia reale e senza fondi per pagare le nostre pensioni. Abbiamo bisogno di queste persone e dobbiamo loro la dignità e il rispetto che ogni essere vivente si merita e a cui ogni lavoratore ha diritto.

Si può essere contrari a politiche migratorie permissive ma ciò non dovrebbe andare di pari passo con l’accettare che le persone muoiano a causa delle nostre scelte. Prima si salva, dal mare, dal freddo, dalla fame, dalle guerre, o da qualsiasi altro evento, e poi, solo poi, si discute. Dobbiamo assumerci la responsabilità, smettere di essere solo esseri umani e diventare umani.