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Storto il decreto o le finanze del Cantone?

(Ti-Press)

La Costituzione cantonale prevede all’art. 34 bis e la legge sulla gestione finanziaria prevede all’art. 4 che i conti del Cantone raggiungano il pareggio. Dal 2020 al 2026, secondo il Piano finanziario del governo questo non è previsto; sono sette esercizi consecutivi in deficit che portano ad aumentare il debito pubblico di circa 1 miliardo di franchi. Ricordiamo che il debito pubblico va restituito alle banche e che si tratta di aumenti di imposte che pagheremo domani anziché oggi. Il decreto Morisoli, approvato dal popolo ticinese il 15 maggio dello scorso anno, cosa impone a governo e a parlamento? Una cosa semplice: finalmente pareggiare i conti, non rimandando di anno in anno l’obiettivo, come d’uso, ma entro la fine del 2025, fissandolo con una norma di legge (il decreto, appunto). Certo è una rigidità, un dovere, un intervento diretto sulla gestione che dal 2011 al 2026 su 15 esercizi contabili, solo in 3 è riuscita a chiudere in attivo.

Mai prima d’ora il popolo ha imposto all’esecutivo e al legislativo di adoperarsi per risanare le finanze entro un termine di legge. Giusto o sbagliato? Il popolo ha deciso e Consiglio di Stato e Gran Consiglio devono marciare. Il Decreto diventa la scusa per dimostrare, da parte del governo e dei partiti, che la crescita della spesa dello Stato è giustificata, indispensabile, irrinunciabile e insostituibile? Sì. Certo, come potrebbe essere diversamente per chi non vuole tagliare i rami sui quali ci si è seduti da almeno 15 anni. Ora, ci sono modi e modi per trovare un equilibrio tra un dovere (il pareggio dei conti) e i diritti (le abitudini di spendere), ma il peggiore è quello populista di metterli in contrapposizione. Purtroppo, c’è chi soffia sul fuoco in continuazione per rendere la decisione popolare impraticabile, nonostante sia necessaria e saggia per il bene di tutti; in particolare per i meno fortunati e per la prossima generazione. Vengono invocati tagli insostenibili, che può essere vero visto che il tempo passa e che dal 2019 non si è più fatto nulla per risanare i conti e ristrutturare la spesa. Nel frattempo se ne sono andati e sprecati, indipendentemente dal decreto, 4 anni di possibili lavori e riflessioni; ora i tempi stringono, rimangono solo 2 anni.

È colpa dell’esame che ha una data fissa oppure dello studente che non ha lavorato, e che in una notte vuole recuperare tutto quello che non ha fatto prima? Questa, di fatto, è la situazione in cui si trovano il governo e certi partiti. Infatti, al passar del tempo sprecato, non possono che procedere con provocazioni e minacce di tagli lineari e dolorosi cercando lo scontro per spostare la data dell’esame o addirittura per annullarlo. Chi era ed è contrario alle nostre misure di freno della crescita della spesa, usa il decreto come capro espiatorio. Sono gli stessi che hanno sprecato occasioni e tempo e che oggi sono costretti a proporre tagli dolorosi. Quei tagli che noi, ahimè, “profetizzavamo” con largo anticipo se non si fosse proceduto per tempo e responsabilità con il freno della crescita della spesa a venire. Oggi ci siamo.

I fatti sono chiari e sappiamo quali sono le spese che crescono, anche. Chi è contro il decreto le conosce perfettamente, sono fuori rotta: la spesa del personale (le imposte di 180’000 contribuenti non bastano per gli stipendi dei 9’000 dipendenti statali!), quella di funzionamento (beni e servizi per cui spendiamo 35 milioni in più dell’anno della pandemia!) e quelle di trasferimento (sussidi che sono aumentati di 310 milioni all’anno nell’ultima legislatura). Per questo abbiamo depositato dal 2017 a oggi diversi atti parlamentari per correggere e contenere questa dinamica inarrestabile. Ben tre iniziative elaborate per frenare queste tre voci di spesa furono depositate il 29 settembre 2021, lo stesso identico giorno del Decreto; a tutt’oggi sono inevase. Sarebbero state utilissime per frenare la spesa futura (dal 2022 al 2026) e avrebbero permesso di evitare i tagli che il governo andrà a proporre.

Ricordiamoci, la simmetria dei sacrifici in finanza pubblica non esiste. Sono sempre gli stessi cittadini, sia a pagare più imposte che a subire i tagli. Chi millanta revisioni di compiti, lo fa da decenni sapendo che non decollerà mai, ma soprattutto sono gli stessi che si oppongono a mettere in discussione sia il ruolo dello Stato che l’utilità di certe sue spese in espansione. Quanto alla Corte dei conti, lasciamola a chi ha tradizioni italiche, in quel Paese non è certo la finanza pubblica a essere di esempio. Per finire una nota lieta. Il decreto voleva essere una sorta di spaventapasseri, da un anno e mezzo non si parla che di quello, significa che sta funzionando molto bene!