Le polemiche sui testi manipolati di Roald Dahl, uno tra i più apprezzati scrittori per i ragazzi, sono note a tutti. Ho accolto con disappunto questa iniziativa, che però non mi ha sorpreso in quanto è figlia di una tendenza preoccupante: l’ideologia di un perbenismo che promuove il “politicamente corretto”, le cui conseguenze sono perlomeno discutibili.
I testi scritti, non solo quelli di Dahl, dovrebbero essere letti per formare i cittadini di domani con spirito critico e consapevole, affrontando le varie tematiche con obiettività, senza camuffare o ammorbidire la realtà. Sta alla sensibilità dei docenti affrontare queste situazioni, evidentemente rapportate all’età degli allievi e alle necessarie dosi empatiche ed emotive.
A prescindere da considerazioni “legali”, questa scivolata manipolatoria deriva anche dalla concezione che vuole limitare le differenze e tendere a un ugualitarismo utopico, nonché a evitare di affrontare contesti spigolosi e critici (anche con i più giovani). Le differenze non vanno combattute e nascoste, perché costituiscono invece ricchezza e meritano di essere valorizzate con rispetto e spirito solidale. Lo stesso discorso vale per espressioni magari sopra le righe e per scelte linguistiche personali: la loro conoscenza è occasione per argomentare, riflettere, farsi un’opinione, criticare.
L’edulcorazione del linguaggio allo scopo di compiacere la sensibilità del tempo la viviamo anche in altri settori, come quando si inventano asterischi (sic!) per garantire la parità di genere oppure si mira a un’eccessiva ricerca di un “equilibrio nella ridondanza”, come l’ha definita recentemente Alessio Petralli. Ciò appesantisce il linguaggio e soprattutto, a mio avviso, non raggiunge l’obiettivo che deve concernere tutti: educare e vivere con rispetto gli uni nei confronti degli altri.
Più in generale, una lacuna del nostro tempo è la volontà, da parte di troppi adulti, magari non sempre consapevolmente, di rendere tutto più semplice ai giovani e di eliminare le difficoltà, pensando di aiutarli. Niente di più sbagliato! Ciò rende i giovani più fragili e sprovvisti delle competenze morali ed emozionali, più che cognitive, essenziali per la vita: l’impegno, il sacrificio, la capacità di rialzarsi di fronte all’insuccesso, lo sviluppo del senso del dovere e non solo dei pur legittimi diritti, il piacere di apprendere e di dedicarsi anche agli altri. “Tutto ciò che è comodo è stupido”, ammoniva Paolo Crepet: ricordiamocelo.
Nelle scorse settimane, infine, abbiamo avuto un esempio che va proprio in questa direzione: la proposta di eliminare i compiti a casa in alcuni licei della Svizzera interna. I compiti, lo sappiamo, creano sempre discussioni, in tutte le componenti coinvolte. Essi non devono sostituirsi al lavoro fatto o non fatto in classe, ma costituiscono – anche per i più giovani – un privilegiato “dialogo” tra scuola e famiglia, come pure una modalità di apprendimento utile anche per sapersi organizzare e a portare a termine un impegno. Certo, il tutto deve essere in relazione a età e tipo di scuola, considerando pure il sacrosanto diritto al tempo libero e a più che mai opportune attività extra-scolastiche. Ma una loro eliminazione tout court sarebbe un ennesimo livellamento verso il basso della scuola e un regalo avvelenato per la crescita dei nostri giovani. Essi hanno bisogno costantemente di stimoli ed esperienze diversificate; non di facilitatori che inevitabilmente li porteranno a non avere gli anticorpi che sono invece indispensabili per affrontare la vita, le sue meravigliose bellezze ma pure gli ostacoli che si presentano. Senza perbenismi di sorta.
PS. “Bestie sporche” è il titolo di uno dei libri di Roald Dahl; lasciamole sporche queste bestie narrative, nel nome del rispetto e delle diversità, alla faccia del politically correct che crea illusioni ed effetti perlomeno discutibili.