Non posso che condividere in larga misura quanto espresso dall’ex collega Matteo Pronzini – salvo che per i passaggi in cui egli tira palesemente "l’acqua al mulino" del suo partito – nell’articolo intitolato "Parlamento di milizia, un minimo di pudore" (v. laRegione dello scorso 5 gennaio), a commento del tema sollevato settimana scorsa da questo stesso giornale in un servizio dedicato ad alcuni deputati che "lasciano" al termine della corrente legislatura. Pronzini confuta, secondo me giustamente, la tesi dell’"enorme impegno con scarso stipendio" cui sarebbero sottoposti i parlamentari. Giova altresì ricordare che in campagna elettorale tutti cercano di farsi eleggere, e mai nessuno si lamenta dell’asserita "magrezza" dei compensi. Senza contare che nessuno controlla il tempo realmente impiegato dai relatori per la stesura dei vari rapporti.
Mettendo a confronto gli indennizzi di cui beneficiano i deputati con le retribuzioni della maggior parte dei cittadini, risulta infatti che i primi non sono così malpagati come si dice spesso. Anche ammesso che questo sia solo "clin d’oeil", ovvero un gesto di "captatio benevolentiae" dell’autore nei confronti dei potenziali lettori. Certo, se si mettono questi indennizzi a confronto con quanto potrebbe incassare un medico o un avvocato o altro libero professionista, dedicando lo stesso tempo alla sua professione, il discorso cambia… Ma il compenso per l’attività parlamentare non si misura solo in "moneta sonante", bensì anche nella convinzione (o almeno nell’illusione) di "contare" qualcosa. Del resto, nel nostro sistema di milizia, la carica dovrebbe comportare anche una certa dose di volontariato in rappresentanza di una parte dei cittadini. A proposito del sistema di milizia, ho fatto parte abbastanza del Gran Consiglio per aver sentito più volte il ritornello "Siamo un Parlamento di milizia", quasi a giustificazione di un impegno… "a scartamento ridotto". Ciò che non dovrebbe essere in nessun caso!
Quanto alla sorveglianza sull’attività dell’Esecutivo (Governo e Amministrazione che lo supporta), a parte l’enorme disparità di mezzi a disposizione, è vero che il Parlamento ha già rinunciato a talune sue prerogative. A proposito del lavoro legislativo vero e proprio, l’autore cita opportunamente il numero di mozioni e delle iniziative proposte anche da parlamentari che vanno per la maggiore. Va naturalmente tenuto conto che il "valore" di un deputato non si misura solo dal numero degli atti parlamentari presentati…
In definitiva, Pronzini ha sì ragione, ma il suo discorso va comunque un po’ sfumato.