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Pau-Lessi, un ulteriore atto d’intimidazione

"La Corte oggi è triste perché si è trovata davanti a una persona che ha sfruttato la sua posizione per soddisfare le sue voglie", con queste parole il giudice Marco Villa aveva commentato la sentenza di condanna dell’ex funzionario del Dss accusato di coazione sessuale e violenza carnale, per poi aggiungere che le "giovani donne non sono state accompagnate nel percorso di rivelazione", chiedendo quindi scusa alle vittime in nome dello Stato.

Parole forti, che non erano passate inosservate, che avevano forse dato un po’ di sollievo alle vittime che, dopo anni, erano riuscite a denunciare quanto succedeva all’interno dell’amministrazione cantonale e avevano dovuto subire le difficoltà di un processo che spesso si traduce in una nuova forma di violenza. Dopo anni si tratta di rivivere tutto quanto, far riaffiorare momenti difficili e vicende che si vorrebbero dimenticare.

Con quelle scuse il giudice Villa aveva per una volta sottolineato la responsabilità di chi sta a guardare, che sa ma fa finta di non sapere, di chi si nasconde dietro parole che possono essere interpretate. Parole che avevano messo in evidenza come da qualche parte siamo tutti responsabili di fronte a queste situazioni che non vanno nascoste o sottovalutate.

Sotto i riflettori era finito in particolare Ivan Pau-Lessi, ai tempi superiore del funzionario denunciato, al quale le ragazze si erano rivolte già nel 2005, ma che, stando alla ricostruzione dei fatti, non avrebbe agito di conseguenza per evitare che le molestie e le violenze potessero continuare.

Parole quelle pronunciate dal giudice Villa che, è bene ricordarlo, accompagnavano una condanna per atti sessuali all’ex funzionario, condanna che avrebbe potuto anche essere più pesante se non vi fosse stata la circostanza che una parte dei reati era ormai caduta in prescrizione.

Parole, infine, che il Consiglio della magistratura, pur definendole "inopportune", aveva archiviato sostenendo che "non si configura, di conseguenza, illecito disciplinare e nemmeno si pone la questione di un’eventuale violazione della dignità della magistratura".

Dopo la sentenza un servizio di Falò aveva dato voce ad alcune delle vittime evidenziando anche la responsabilità di chi avrebbe potuto agire per fermare l’ex funzionario. Dal servizio emergeva un quadro inquietante di una situazione in cui la cultura patriarcale e sessista, fatta di battute, disinteresse e connivenza, la faceva da padrona.

Un servizio che già allora aveva suscitato la reazione indignata di Pau-Lessi, che, anziché chiedere scusa alle vittime per quanto accaduto, ha avuto l’arroganza di denunciare la Rsi mettendo in discussione la professionalità della giornalista (guarda caso una donna) e minando di fatto la credibilità delle vittime. Inaccettabile che in una società che si vuole democratica e liberale si possano accusare i media semplicemente perché fanno bene il loro lavoro... un attacco intimidatorio e assolutamente scandaloso.

La vicenda era anche finita sui banchi del Gran Consiglio che, in una prima fase e con una votazione dai contorni ancora poco chiari (con un cambiamento di posizione del Ps all’ultimo momento), aveva rifiutato la creazione di una commissione d’inchiesta; per poi decidere in un secondo tempo, anche questa volta non senza difficoltà, l’attribuzione di un mandato esterno per un audit che prendesse in considerazione tutti gli elementi di questa triste vicenda.

Ma, come si dice in questi casi, al peggio non c’è mai fine... È notizia recente che Ivan Pau-Lessi ha deciso di fare causa allo Stato proprio per quelle scuse espresse alle vittime dal giudice Villa. Secondo Pau-Lessi quelle affermazioni avrebbero leso la sua persona e devono quindi essere oggetto di un risarcimento.

Difficile se non impossibile trovare le parole per commentare ancora questo modo di agire. Possiamo solo immaginare cosa questa azione possa suscitare nelle vittime; si tratta di un nuovo e indiscriminato attacco alla loro credibilità. Un ulteriore attacco che oggi va a colpire anche l’apparato giudiziario che non può sentirsi libero di esprimersi su una situazione di una gravità innegabile e che meriterebbe altre risposte.

Questo modo di agire getta inoltre pesanti ombre sulla possibilità che l’audit voluto dal Gran Consiglio possa svolgersi in un clima di fiducia e rispetto per il lavoro di chi sarà chiamato a svolgerlo, mettendo una pesante ipoteca su quello che ne potrà uscire.

Nessuno sentiva il bisogno di questo nuovo, triste e grave atto d’intimidazione e arroganza: soprattutto le coraggiose donne protagoniste, loro malgrado, di questa vicenda.