In barba al ‘conoscere per deliberare’ einaudiano, una diffusa ignoranza mette a rischio la democrazia, in Svizzera come altrove
Riprendo i risultati di uno studio sulla qualità dei media nella Confederazione, pubblicato qualche tempo fa (ma sempre attuale), e ne ricavo la netta impressione di una crescente disinformazione delle persone, giovani e vecchie, sui fatti del mondo: si parla di un’informazione carente e superficiale in un cittadino su tre, e nei giovani la percentuale sale di parecchio. Il fenomeno ha un nome, "News-Deprivierte", dice il rapporto: "Diese Gruppe – constata l’autrice tigurina – hat sich in den letzten Jahren, vor allem durch das Internet, immer mehr vergrössert"! I disinformati, insomma, sono in crescita. Non sorprende, ma ha aspetti inquietanti perché tutto ciò determina gli esiti delle procedure democratiche.
Stefano Franscini – due secoli addietro – anticipò il discorso: il buon funzionamento della democrazia presuppone cittadini formati e ben informati. Voleva dire che il processo democratico richiede la partecipazione attiva di cittadini che sappiano scegliere con cognizione di causa. Quindi l’educazione alla cittadinanza come palestra per sviluppare il pensiero critico e il confronto: ma non mi pare che così sia intesa oggi da tutti, a giudicare da certi programmi.
Luigi Einaudi – verso la metà del secolo scorso – pose la famosa domanda: come si può deliberare senza conoscere? La questione è ancora in sospeso e infatti Gianfranco Pasquino, il politologo, chiarisce che se oggi si parla di crisi della democrazia bisogna forse partire dal presupposto che senza la partecipazione attiva di cittadini con adeguate conoscenze non può esistere alcuna vera democrazia.
Quindi la minaccia che incombe sulla nostra forma di governo è rappresentata da cittadini non informati o con un’informazione superficiale, inadeguata e distorta. L’argomento è ribadito con vigore da Mauro Barberis, e il titolo del suo libro, ‘Come internet sta uccidendo la democrazia’ (2020), non lascia dubbi. Oggi sono i social a informare (e disinformare) e il populismo digitale – quello delle semplificazioni, delle informazioni rapide, non verificate – è la peste del nostro tempo. Il rischio che corriamo è che il contagio dilaghi, strutturi un nuovo modo di agire e il disamoramento verso la democrazia diventi avversione e rifiuto dei valori democratici.
Pessimismo? No, crudo realismo! I cittadini che guardano alle alternative autoritarie sono schiere sempre più nutrite. Vanno alla grande i Putin, gli Erdogan, gli Orbán (per non parlare del Narcisista Malefico d’oltre Atlantico). Rappresentano questi personaggi gli accoliti della "democrazia senza le credenziali liberali": quelli che, come Dimitri Medvedev, suggeriscono agli elettori europei di punire con il voto i governi "idioti" fautori della degenerazione liberale. In Italia un sondaggio del Centro Studi e Investimenti Sociali, Censis, ci dice che l’uomo forte è invocato dalla metà degli italiani.
Che fare? Come rimediare? C’è un’unica strada: puntare sul cittadino ben informato, perché il voto senza conoscenza e corretta informazione diventa uno strumento pericoloso, che esalta e dilata l’ignoranza e i pregiudizi (non è un caso che oggi si discuta di nuove procedure che coinvolgano maggiormente il cittadino nel processo decisionale: si parla appunto di democrazia deliberativa o dibattimentale che stimoli il pensiero critico e le scelte ponderate). Ma non siamo ancora lì, e la dimostrazione è che oggi le democrazie fanno e sopportano parecchie cose stupide che purtroppo nobilitano, attraverso il voto disinformato, i pregiudizi e l’ignoranza. In questo modo – riassumo David Runciman, docente a Cambridge – le persone non diventano più informate, ma solo più stupide. Insomma, pretendere, come fanno i tanti populisti, che il popolo (quale Popolo? Esiste il Popolo o è una pura metafora utile ai populisti?) abbia sempre ragione (vox populi, vox dei) è una grave forma di analfabetismo democratico. Ne abbiamo, in questo nostro mondo, abbondanti riprove.