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Lupo, tra realismo e pragmatismo

(Ti-Press)

Dopo molti tentennamenti il 18 maggio scorso il Consiglio di Stato ticinese ha finalmente deciso di autorizzare l’abbattimento del lupo che in zona Cerentino aveva sbranato 19 pecore, scatenando la clamorosa protesta degli allevatori a fine aprile. Una decisione giusta e inevitabile, che tuttavia avrebbe dovuto essere adottata con ben altro tempismo. Uno dei motivi di questo ritardo è anche il quadro legale attualmente in vigore: troppa burocrazia, vincoli eccessivamente rigidi e di non facile interpretazione che diventano terreno fertile per i burocrati che devono applicare queste disposizioni, quando invece si tratterebbe di agire rapidamente e in maniera incisiva (interessante per altro osservare come il Canton Vallese, con la stessa base legale, abbia dimostrato che sia fattibile…). È per questo motivo che in occasione della sessione speciale di maggio ho inoltrato due mozioni con le quali chiedo al Consiglio federale di agire a livello di condizioni quadro per una migliore e più efficace gestione del lupo, a tutela in particolare dell’agricoltura di montagna.

Con la prima mozione, ho dunque richiesto al Consiglio federale di adottare delle modifiche all’ordinanza sulla caccia in vigore che portino a un allentamento e alla flessibilizzazione dei criteri di abbattimento del lupo, concedendo così maggiore margine di manovra ai Cantoni, velocizzando nel contempo le procedure per l’ottenimento dell’autorizzazione all’abbattimento di esemplari di lupo problematici; in altri termini si tratta da un lato di semplificare il quadro legislativo e ridurre significativamente la burocrazia – uno degli aspetti che ha reso la decisione di abbattimento del lupo di Cerentino tanto lenta – e dall’altro di rafforzare le modalità di sostegno e gli aiuti finanziari per le misure di protezione delle greggi e per il risarcimento dei danni agli allevatori colpiti, anche al di fuori del periodo di alpeggio.

È oramai sotto gli occhi di tutti che i danni causati dal lupo al bestiame domestico si fanno sempre più ingenti per gli agricoltori di montagna, con gravi conseguenze sia per gli stessi contadini, che per lo sviluppo socioeconomico delle zone periferiche. L’esasperazione sta tracimando e con essa la frustrazione di un settore che si sente abbandonato dalle istituzioni, tanto che sempre più aziende hanno deciso o stanno decidendo di non proseguire la propria attività e di chiudere, condannando così l’agricoltura di montagna – e dunque anche una parte della popolazione residente nelle valli – a un lento ma inesorabile declino. Le soluzioni adottate finora per la protezione delle greggi si sono rivelate inefficaci ma la cosa non è una sorpresa per chi conosce la nostra realtà: uno studio del 2017 dell’associazione Agridea ha in effetti dimostrato che in Ticino, su 20 aziende agricole analizzate che allevano ruminanti, solo per una piccola parte delle greggi è possibile adottare misure di protezione ragionevoli e sostenibili come auspica la "Strategia Lupo Svizzera". Questo perché la particolare conformazione del territorio alpino non è compatibile con le modalità con cui viene praticata la pastorizia da noi. A questo proposito ho dunque depositato una seconda mozione, con la quale chiedo che vengano istituite delle zone "wolf free", ossia delle regioni in cui il lupo non deve potersi insediare poiché la sua presenza sarebbe incompatibile con le attività di allevamento delle greggi, laddove le stesse non sono proteggibili; ciò presuppone che in questi comparti le autorità cantonali siano autorizzate a eseguire interventi di regolazione sul lupo senza eccessiva burocrazia.

Se vogliamo salvare l’agricoltura di montagna, un settore economico tanto prezioso quanto a rischio, occorrono soluzioni realistiche e pragmatiche. Ed è dunque allo stesso modo, con realismo e pragmatismo, che dobbiamo affrontare l’annosa questione del lupo.