Tra violenza domestica, sessuale e femminicidi: per lo più le vittime sono donne e ragazze. Solo una minima parte denuncia
In Svizzera lo scorso anno ci sono state oltre 20’000 infrazioni per violenza domestica, 1’457 denunce per violenza sessuale e un femminicidio ogni due settimane; in più dell’80% dei casi, le vittime sono donne e ragazze, aggredite da uomini, (ex) partner, padri o altri familiari. Ma, per quanto i dati siano agghiaccianti, non si può dimenticare che la realtà è ancora peggio: solo una minima parte dei casi viene segnalata alla polizia (si stima tra l’8 e il 15%).
Troppo spesso, ancora oggi, si tende a relegare la violenza domestica, sessuale e di genere, alla sfera privata, alle dinamiche psicologiche individuali, quando il problema è in realtà sistemico. Una dimensione strutturale emersa chiaramente anche nei preziosi e intensi documentari, trasmessi a Falò il 12 maggio, della giornalista Anna Bernasconi.
Storie di violenza, paura e coraggio. Donne forti, che hanno raccontato la realtà quotidiana di migliaia di donne, ogni giorno, in Svizzera. Anna Bernasconi è riuscita a parlare dei casi specifici con il dovuto rispetto e la giusta sensibilità. Come società abbiamo invece il dovere e l’urgenza di discutere il fenomeno nel suo complesso, e – soprattutto – di come sradicarlo.
Bisogna, come prevede peraltro la Convenzione di Istanbul ma anche quella delle Nazioni Unite sulla violenza di genere (Cedaw), lavorare sull’educazione e la formazione, in ogni ambito e a tutte le età, a cominciare dalle figure professionali direttamente implicate (dal settore socio-sanitario, a quello giudiziario, formativo e mediatico). Al contempo ci vogliono anche una sensibilizzazione e un’educazione libere dai retaggi socio-culturali che rendono "accettabili" certe dinamiche. Bisogna anzi fornire a chiunque degli strumenti per riconoscerle e arginarle, quelle dinamiche.
Non se ne parla abbastanza e non si fa abbastanza per attuare le Convenzione di Istanbul e la Cedaw. Alle Camere federali nella prossima sessione estiva il Consiglio degli Stati rischia addirittura di contraddire e affossare un passo avanti fondamentale nel contrasto alla violenza di genere: il principio del consenso nella definizione di stupro. Eppure sarebbe un passo importante per contrastare la violenza di genere, perché riconosce finalmente anche a livello legislativo quello che la ricerca neurologica sa da tempo: di fronte a un pericolo, spesso la vittima adotta inconsciamente un sistema di autodifesa, il cosiddetto "freezing", che impedisce alla vittima non solo di difendersi fisicamente (come pretende l’attuale legislazione), ma addirittura di manifestare un rifiuto. E non si possono più ignorare neanche i rischi che, reagendo con forza, si scateni un’aggressività ancora più violenta. Per questo l’unica risposta legislativa adeguata alla violenza sessuale, è il principio del consenso.
La società civile lo ha riconosciuto da tempo, come dimostra anche il grande riscontro della petizione in tal senso lanciata da Amnesty International nelle scorse settimane. È un segnale importante e un passo necessario, per sancire che vogliamo una società e una cultura incentrate sul rispetto, sui diritti e sulla dignità, che tuteli le vittime e non l’autore della violenza. Speriamo che il messaggio arrivi per tempo anche alla Camera alta. Nel 2022 sarebbe davvero ora.