Chi sostiene l’invio di armi e il sostegno all’esercito ucraino dovrebbe farsi qualche domanda sul ruolo della Svizzera e della sua neutralità
Ogni tanto sfogliando dei quotidiani ticinesi e scorrendo talune prese di posizione sui social mi chiedo se ho in mano la Repubblica e sto navigando tra profili italiani. Poi mi rendo conto che sto leggendo opinioni di persone attive in Svizzera e mi sorge la domanda: ma chi dal Ticino chiede di inviare armi all’Ucraina e attacca i pacifisti perché troppo neutrali ed equidistanti di fronte al conflitto, a chi si sta rivolgendo, che dibattito vuole promuovere e quali obiettivi intende raggiungere?
In assenza di proposte politiche concrete, l’impressione è che la riflessione sia meramente virtuale e simbolica, sganciata dalla realtà. Sembra che si stiano portando avanti delle discussioni e delle polemiche altrui, come se non vivessimo in Svizzera ma in Italia, nell’Unione europea, in un Paese che aderisce alla Nato.
In certi commenti perché non si fa ad esempio riferimento e si sostiene la presa di posizione di Gerhard Pfister, presidente dell’Alleanza di Centro, che ha criticato la Segreteria di Stato dell’economia perché ha rifiutato la richiesta della Germania di inviare armi svizzere all’esercito ucraino in quanto non conforme alla nostra legislazione? Oppure perché non ci si aggancia alla presa di posizione di Thierry Burkart, presidente del Plr svizzero, che ha chiesto un maggior allineamento della Svizzera alla Nato?
Per lanciare un vero confronto politico chi desidera l’invio delle armi all’esercito ucraino potrebbe ad esempio proporre al Consiglio federale e al parlamento di modificare la legge che vieta alla Svizzera di esportare armi in Paesi in conflitto, esigere dalla politica l’avvicinamento o l’adesione della Svizzera alla Nato e chiedere che il nostro principio di neutralità venga probabilmente definitivamente messo in crisi perché ancora troppo equidistante tra le due parti in conflitto (posizione elvetica che nota bene pare essere alquanto vicina a quella di molti pacifisti italiani).
Altrimenti sembra che si stia chiedendo agli altri Paesi occidentali di sostenere e fare la "guerra per procura" al nostro posto, mentre a noi svizzeri, al di là delle sanzioni economiche, basterebbero delle parole "belle e giuste" senza volere e dovere mai passare ai fatti.
Così magari si potrà finalmente promuovere un dibattito democratico costruttivo su quali dovranno essere il ruolo e l’identità culturale e politica della Svizzera, e del suo esercito, nel nuovo ordine mondiale che si sta creando, coinvolgendo i nostri politici e la nostra popolazione: allinearsi definitivamente sulle posizioni atlantiche oppure mantenere ancora una certa neutralità ed equidistanza per provare a sostenere una mediazione tra le parti in conflitto e tra le varie superpotenze? O si preferisce non fare quasi nulla per salvaguardare unicamente i nostri interessi nazionali?
Si potrà così forse anche uscire da certi toni "moralistici" e "sentimentalistici" del dibattito sulla "guerra giusta" per far parlare finalmente anche il diritto e la legge: in quali casi e secondo quali criteri del diritto internazionale e nazionale la Svizzera potrebbe eventualmente inviare delle armi a Paesi in guerra? Quando, a chi e per quali guerre? Cosa significherebbe per il nostro diritto e per i nostri accordi internazionali l’eventuale avvicinamento e/o adesione alla Nato?
In questo dibattito non si tratterebbe più di solo criticare e attaccare simbolicamente chi non condivide la propria posizione, ma bisognerebbe provare anche, a partire alla nostra realtà storica, politica e culturale, ad argomentare il proprio punto di vista cercando di convincere gli avversari e la popolazione, perché in ultima istanza sarà come sempre la maggioranza del popolo a dover decidere chi siamo e cosa vogliamo diventare.