I promotori del referendum contro quello che chiamano il "decreto Morisoli", in votazione il prossimo 15 maggio, continuano a dire e a scrivere che il pareggio dei conti dello Stato entro il 2025 è una fissazione "menostatista", e che potrà essere raggiunto solo tagliando di brutto le uscite, in barba alle necessità della popolazione. Inoltre, essi si fanno difensori della pubblica amministrazione, contestando che lo Stato "butti via" i soldi, ma sostenendo che ogni spesa, anche minima, sarebbe giustificata.
In realtà questo sarebbe il caso se fosse stato approvato il decreto nella sua primitiva formulazione. Il Gran Consiglio vi ha però aggiunto un "prioritariamente", che qualcosa significherà pure!
In altre parole, ciò significa che dapprima, prioritariamente appunto, occorrerà vedere che risparmi si possono fare senza aumentare le imposte, mantenendo le prestazioni per le categorie più in difficoltà. Nulla però impedisce, in caso di necessità, di ricercare anche nuove entrate, sempre avendo cura di non ribaltare nuovi oneri sui Comuni.
Personalizzando la questione, i referendisti cercano evidentemente di attribuire la proposta, votata dal plenum del Parlamento, a una singola persona, rappresentante di un partito di minoranza. Più furbescamente, riferendosi alla candidatura al Governo dello stesso Morisoli di qualche anno fa, essi sperano nell’appoggio di chi non sosteneva tale candidatura. Ma un conto sono le considerazioni di partito che possono sfociare nella decisione di sostenere o no determinati candidati. Tutt’altra cosa sono invece le valutazioni più prettamente politiche per decidere se votare sì o no a una precisa proposta (venisse anche da una persona che non si era sostenuta). Senza questa possibilità, la politica si ridurrebbe a una serie infinita di personalismi, tatticismi e piccoli sgambetti. Nel caso del pareggio dei conti, per i motivi detti, la mia risposta è Sì.