laR+ sguardo a nord

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A Urtenen-Schönbühl ci sono nove persone, tra i trenta e i quarant’anni, single o in coppia, che vivono nella stessa casa e che condividono lo stesso conto bancario. Insieme dispongono di 25’000 franchi al mese, da usare per le spese correnti. Ognuno versa ciò che ha e prende ciò di cui necessita. Può dunque capitare che qualcuno prelevi una somma più alta di quella versata oppure che per un po’ non contribuisca perché disoccupato. In cinque anni e mezzo i nove non si sono mai trovati al verde e ogni mese depositano 800 franchi su un conto di risparmio collettivo e 100 franchi sul conto di ognuno dei figli che vivono con loro. Tramite riunioni regolari tengono sotto controllo la situazione economica preventivando le spese importanti. Questa comunità utopica è nata principalmente per tre motivi. I fondatori volevano dar vita a una rete privata di sostegno, un po’ come un reddito di cittadinanza, in grado di garantire una sicurezza economica basata sul principio della fiducia reciproca: nessuno svuota il conto per soddisfare i propri interessi personali e nessuno si priva di ciò di cui ha davvero bisogno. La gestione comune di denaro e coabitazione serve in secondo luogo ad attirare l’attenzione sui grandi divari di salario che alimentano la diseguaglianza. Infine, abitando insieme e condividendo entrate e uscite, si dispone di più denaro e si riesce a lavorare a tempo parziale per occuparsi della casa, dei figli ed eventualmente di opere di volontariato, attività che la nostra società dà ancora per scontate. Questa volontà di sostenersi a vicenda per lavorare meno e godere di una migliore qualità di vita si affianca a un altro interessante fenomeno, quello degli anziani attivi professionalmente dopo il pensionamento. In Svizzera, tra il 2018 e il 2020, il 38% degli uomini al di sopra dei 65 anni e il 28% delle donne al di sopra dei 64 anni erano professionalmente attivi. E anche se fra i 74enni le percentuali scendevano sensibilmente, non arrivavano comunque a quota zero. Secondo uno studio condotto dall’esperta di scienze sociali e consulente aziendale Elisabeth Michel-Alder in collaborazione con l’Università e il Politecnico di Zurigo, anche dopo la pensione le persone vogliono svolgere attività che permettano loro di assumersi responsabilità e raggiungere obiettivi. Purtroppo il mondo del lavoro non è ancora pronto ad accoglierle: sono pochissime le aziende in grado di offrire contratti interessanti agli ultra 65enni. Secondo Michel-Alder il problema si risolverebbe abolendo l’età pensionabile fissa e sostituendola con un calcolo della rendita in base all’età. Così facendo, ognuno sarebbe libero di decidere se e quanto lavorare. Un’ottima idea, che permetterebbe di creare un mondo lavorativo più flessibile, aperto agli esperimenti sociali e al contributo sia dei giovani che degli anziani. A patto che questo modello non venga sfruttato dai soliti furbi per creare impieghi a tempo parziale low-cost e/o intrappolare nel ciclo lavorativo gli anziani.