Nella storia della neutralità svizzera c’è una data assai buia: il 9 maggio 1940. La Seconda guerra mondiale è in corso da otto mesi e in alcuni punti del Reno che fa da confine tra Svizzera e Germania, l’esercito tedesco lancia fino a metà fiume passerelle, preannuncio del temuto attacco militare. Alla sera il generale Henri Guisan riunisce il suo stato maggiore: tutti s’aspettano l’ordine di andare ai posti di combattimento, invece Guisan li congeda con un "Messieurs, bonne nuit". Nelle prime ore del 10 maggio l’esercito tedesco invade il Belgio, in poche settimane aggirerà la Linea Maginot e sarà a Parigi. Al mattino le passerelle sul Reno vengono ritirate.
Chi sapeva, oltre a Guisan, dell’attacco imminente? Chi ha tradito nazioni amiche come Belgio e Francia? Chi tra le autorità svizzere era filonazista o filofascista? Che valore aveva la "Déclaration de neutralité" fatta dal Consiglio Federale il 31 agosto 1939? La neutralità è saggezza o vigliaccheria politica?
Quando nel 1970 Edgar Bonjour pubblica il quarto volume della sua "Geschichte der schweizerischen Neutralität", anche il pubblico viene a conoscenza delle lettere compromettenti di Guisan con la Cancelleria del Terzo Reich. Ma tante cose aveva già potuto apprenderle anche dal comportamento di alcuni Consiglieri federali, come il filofascista Giuseppe Motta (1871-1940) o il filonazista Marcel Pilet Golaz (1889-1958).
Motta muore pochi mesi dopo l’inizio della guerra, e non farà più danni. Pilet Golaz tiene duro fino al dicembre del 1944, ma lascia il posto a Max Petitpierre (1899-1994), uno dei migliori Consiglieri federali nella storia della Svizzera. Finita la guerra, con l’ingenuità o l’ipocrisia che rimuovono il passato, Motta sarà promosso a padre della patria, Pilet Golaz sarà dimenticato.
Nella seconda metà del Novecento la Svizzera partecipa alla crescita economica dell’Europa e ne approfitta per diventare un paradiso fiscale. Quando crolla l’Unione Sovietica, il mondo occidentale in euforia vive l’ebbrezza della giustizia e della libertà e costringe la Svizzera a rifare i conti col suo passato, in particolare con la sua collaborazione alla Germania nazista e con la confisca dei fondi ebraici. Il Consiglio federale nomina una commissione d’inchiesta, che affida allo storico Jean-François Bergier (1931-2009). Il rapporto Bergier che ne scaturirà sarà un esercizio di equilibrio, che accontenterà solo a metà chi voleva tutta la verità. Ma in altri suoi scritti Bergier è molto critico con la Svizzera, in particolare per la sua mancata adesione alle istituzioni europee. A quasi ottant’anni dalla fine della guerra la questione del maltolto agli ebrei si è riaccesa con la collocazione della bella Collezione Bührle nel bellissimo Chipperfield, il nuovo palazzo del Kunsthaus di Zurigo. Ovviamente la questione dei fondi ebraici ha sempre sullo sfondo quella della neutralità svizzera.
Da due anni è in corso una pandemia che fa fare gli straordinari al Consiglio federale. Da un mese è scoppiata una guerra in Ucraina, terribile come tutte le guerre, ma assurda e anacronistica. La reazione del mondo occidentale è bella, rapida, efficace. Il Consiglio federale deve prendere decisioni importanti e lo fa in modo ammirevole: adotta tutte le sanzioni dell’Unione europea e sequestra i beni degli oligarchi russi. Tocca al Presidente della Confederazione esporsi in prima fila e Ignazio Cassis lo fa in modo stupendo. Eravamo abituati alle allocuzioni del Presidente, precedute dall’inno nazionale. Eccolo invece in piazza assieme ai dimostranti, eccolo al confine dell’Ucraina assieme ai soccorritori che portano tutti i possibili aiuti umanitari. L’immagine di Cassis che regala i Toblerone ai bambini è commovente, simbolica, merita di restare nei libri di storia.
Sembra che nel mondo occidentale sia in corso un cambiamento storico. In esso la neutralità svizzera è ancora sostenibile? Forse, ma da verificare.