I dibattiti

Gli alberi e la foresta

Riflessioni sull’impatto dei social media nell’ambito della giustizia

L’avvocato Edy Salmina
(Ti-Press)

"Delitti in prima pagina. La giustizia nella società dell’informazione" è il titolo di un bel libro appena pubblicato dall’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Che, non lontano dagli 80 anni e dopo una carriera prestigiosa, l’ex magistrato abbia deciso di occuparsi proprio di questo tema mi pare significativo. È un testo interessante e con tanti meriti, non ultimo quello di inserire le questioni che tocca in una ricca prospettiva storico-culturale. Un allarme, il suo, con un richiamo forte alla dignità della persona come stella polare, al diritto di cronaca come baluardo, alla riservatezza come stile, alle regole e alle deontologie.

Tutto giusto, perbacco, eppure qualcosa mi pare sfugga. Non nel senso di soluzioni nuove a problemi noti da tempo, e chi può dire di averle, piuttosto nel cogliere la dimensione radicalmente ‘nuova’ con la quale si pongono oggi le questioni. Il libro, questo intendo dire, immagina la realtà comunicativa come composta da attori separati: la giustizia, la comunicazione, le persone. Da qui, appunto, tanto la necessità di trovare tra di loro equilibri e la consapevolezza dei pericoli insiti negli eccessi degli uni e degli altri. Giusto, ovviamente, ma il punto è che oggi gli uni e gli altri si muovono dentro un medesimo flusso comunicativo, unico e pervasivo, senza una vera distinzione tra le parti. Ognuna di esse è, via via, parlante e parlata, emittente e ricevente, collegata e scollegata, forte e debole. La comunicazione è una rete e perciò mette in rete, non divide ma congiunge tutti a tutti e a tutto. Il suo gioco detta le regole, non i giocatori.

L’odierna ‘società della comunicazione’ è quel mondo dove ognuno, magistrati e avvocati compresi, vive con l’occhio attaccato al cellulare e postando parole e immagini. Faccio due esempi. Succede che i media diano qualcuno per colpevole prima che ciò sia accertato: è la lesione della presunzione di innocenza alla quale Bruti Liberati dedica molta attenzione. In una lettura classica del fenomeno la partita è tra la vittima della condanna affrettata (il soggetto debole) e i media che ne sono responsabili (i soggetti forti). Vero, senonché lo scenario moderno confonde l’orizzonte.

Essere accusati pubblicamente suscita un fatto comunicativamente decisivo, ovvero l’attenzione, un’energia di cui ognuno può fare ciò che crede. A chicchessia, perciò, basta un iPhone per passare al contrattacco, ad esempio dicendosi vittima di persecuzione, di mobbing giudiziario e delle proverbiali lentezze del sistema. Non si dice oggi forse che la viralità è più importante della verità? Vuole, tutto ciò, dire che la presunzione di innocenza non vada più difesa? Certo che no, anzi e con forza, ma lo scenario è cambiato. Secondo esempio, la cronaca giudiziaria. Bruti Liberati ne ricorda la storia e, pensando all’oggi, parla di "deriva senza fine". Il punto è però l’attuale quantità di multimediale ‘cronaca nera’ non cambia solo la quantità ma anche la qualità del fenomeno. Il racconto dei fatti criminali, per dirne una, non è solo onnipresente ma è ormai diventato lo schema del resoconto mediatico tout-court.

Eventi economici, politici, sociali o religiosi sono via via presentati (con tutte le debite eccezioni, va da sé e bisogna dirlo) con lo stile tipico del racconto giudiziario: verità contro bugie, colpevoli contro innocenti, vittime contro autori, sofferenze contro oblio. I fatti e i protagonisti vengono in un certo modo "processati in pubblico" ma questa modalità di lettura agisce sull’opinione pubblica, quindi sulle leggi e, a cascata, sulla giustizia stessa. Genera lo stesso sulle persone, le loro opinioni e le loro attese anche quelle, si noti bene, di chi opera – e soprattutto opererà – nella giustizia quando, tra non molto, sarà completamente affidata a donne e uomini cresciuti con Facebook e Google. Nessuno può dire che fine faranno, in tutto ciò, l’indipendenza della giustizia o la stabilità delle leggi, ma misurare l’ampiezza del pericolo serve a difendere meglio l’una e l’altra conquista.