laR+ I dibattiti

Una candidatura inopportuna

(Ti-Press)
10 gennaio 2022
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L’aspetto più sconcertante delle discussioni che stanno portando alla scelta del nuovo presidente è costituito dalla candidatura di Silvio Berlusconi, l’uomo politico più discusso e contestato degli ultimi decenni, sia per la sua attività quale Presidente del Consiglio dei Ministri, sia per la sua condotta di vita e di imprenditore televisivo. Il suo passato, soprattutto quello giudiziario dovuto agli innumerevoli processi contro di lui promossi, dovrebbe infatti escludere, in qualsiasi Stato democratico attento ai fondamentali principi etici e al semplice buon senso, una simile candidatura, la quale è comunque sostenuta dai tre partiti di destra: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, a dimostrazione della scarsità di senso dello Stato che contraddistingue buona parte di questo schieramento politico.

Una parte della dirigenza italiana pensa quindi di issare Berlusconi al Quirinale, scrive il “Domani” del 29.10.2021, “come se fosse normale che una persona condannata da un tribunale in via definitiva per frode fiscale e decaduta dal Senato per il reato commesso possa ambire alla massima carica dello Stato. Una persona che ha scansato una quantità di procedimenti giudiziari facendosi confezionare leggi ad personam da un parlamento servizievole”. Questa “palese insensatezza” è ripresa dallo stesso giornale l’1.11.2021, facendo notare che il tentativo di piazzare al Quirinale questo personaggio “richiede di consegnare all’oblio una parabola politica segnata da 36 processi, una condanna per frode fiscale, leggi ad personam”.

In parole più incisive, l’Italia si ritroverebbe quale capo dello Stato un ex presidente del Consiglio soprannominato, per i suoi precedenti penali e la sua condotta, il “Caimano”, riprendendo l’omonimo titolo di un memorabile film di Nanni Moretti.

A proposito dei processi penali, è significativo che buona parte di essi si sia concluso non con l’assoluzione dell’imputato, ma per intervenuta prescrizione, vista la durata dei procedimenti, abilmente prolungata dai suoi legali. D’altronde, alcune di queste prescrizioni si sono verificate grazie alle leggi fatte approvare da un docile parlamento, realizzando così (come altri atti parlamentari che addirittura abolivano il reato che poteva inguaiare il premier) una “dittatura della maggioranza”: ciò non ha nulla a che fare con una democrazia.

Un esempio significativo è il processo, finito a coda di pesce, per il cosiddetto “Lodo Mondadori” che permise a Berlusconi (tramite Fininvest) di divenire proprietario della maggioranza delle azioni della casa editrice, ottenendo, grazie alla corruzione di un giudice, un giudizio favorevole ai danni di Carlo De Benedetti (il quale vinse poi il processo civile, incassando quale risarcimento il cospicuo importo di 494 milioni di euro). Da notare che furono condannati gli altri imputati, in particolare il giudice corrotto e gli avvocati della Fininvest. La sentenza della Cassazione, che conferma quella di appello, constata che Berlusconi non veniva assolto, ma prosciolto per l’intervenuta prescrizione: si chiariva quindi che egli aveva compiuto un grave reato, ormai non più passibile di condanna. Nonostante questo precedente il suo protagonista, corruttore riconosciuto di giudice con sentenza del novembre 2001 per fatti risalenti al 1991, divenne presidente del governo nel 1994.

Le autorità penali si interessarono pure di Berlusconi per i suoi presunti rapporti con la mafia, anche per il fatto che negli anni 1973-76 fu suo dipendente nella villa di Arcore un mafioso. Una sentenza di primo grado nel processo per la trattativa tra Stato e mafia parla di pagamenti regolari da parte di Berlusconi all’organizzazione fino al dicembre 1994. Inoltre il suo principale collaboratore, Marcello Dell’Utri, fu condannato per associazione mafiosa. Emergono quindi frequentazioni che quantomeno non si addicono a un politico che ha avuto primarie responsabilità governative.

Da un profilo etico, sono quantomeno discutibili certi atteggiamenti di Berlusconi, in particolare per quanto concerne i ritrovi da lui organizzati ad Arcore (da lui denominati “cene eleganti”), frequentati anche da prostitute, come accertato da un procedimento penale. Serate nelle quali avvenivano fatti probabilmente non rilevanti penalmente, ma comunque poco consoni a una persona ai vertici dello Stato.

L’elenco potrebbe continuare: dal conflitto di interessi che gli ha permesso di incassare importi ingentissimi, all’aver “coperto di ridicolo l’Italia e di vergogna gli italiani con sceneggiate e pagliacciate in giro per il mondo” (Marco Travaglio). Una somma impressionante di elementi che, alla luce di una normale convivenza democratica e dei valori etici che devono caratterizzare chi è alla guida di uno Stato, dovrebbero escludere anche solo come ipotesi una candidatura per la Presidenza. Ciò non è stato il caso, e merita quindi una decisa reazione da parte di chi è fedele a determinati principi; il che, da parte di alcuni giornali e di personalità della società civile, sta avvenendo.

Le incognite, e la mancanza di sensibilità civica che permea una parte della classe politica, sono tali che l’esito della scelta presidenziale è del tutto imprevedibile. Permane un rischio in contrasto con quello che è stato il settennato che sta per concludersi: un esempio, con Sergio Mattarella, di un Presidente al di sopra delle parti, che ha saputo far fronte al suo compito con discrezione ed esemplare senso dello Stato. Vedremo se la forza della ragione saprà evitare una scelta che il popolo italiano non si meriterebbe.