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L’odio che non ci ferma?

Il progresso economico e sociale della società e del mondo di oggi è minato alle basi, non solo da una crisi economica, ma anche da una crisi sociale ben più profonda e radicata che un po’ è anche causata da una scarsa sensibilità del nostro mondo politico a essere vicino ai cittadini senza fare differenze ma in modo egualitario.

Gli immigrati sono diventati il bersaglio di un odio immotivato, che vede lo straniero responsabile di tutto ciò che è brutto e cattivo. Questo è un sentimento vivo anche nei singoli paesi, che mettono in secondo piano le riforme e il sostegno rispetto agli immigrati. Così l’asilo politico, l’accoglienza e la possibilità per questi di lavorare, genera odio e rancore anche da parte dei cittadini del luogo, un tempo più umani e disponibili ad adeguarsi. I cittadini si sentono abbandonati e sono delusi dalla politica, gli immigrati e i clandestini, che vivono nel paese con privilegi che i cittadini residenti si sognano, diventano un capro espiatorio. Inoltre, le notizie di cronaca di stranieri che uccidono, rubano, violentano e fanno crimini nel nostro paese non mancano. Certamente gli immigrati devono darsi ancora più da fare per dimostrare di essere persone attive e ben integrate che rispettano le regole di comportamento e le regole del vivere comune vigenti in Svizzera e che rispettano le istituzioni. Questa è una storia che si ripete, l’immigrato e il diverso sono visti come il nemico da combattere, ne sono stati oggetto in passato di quest’odio anche gli europei, che hanno lasciato l’Europa per lavorare all’estero.

In una raccomandazione del Consiglio d’Europa il discorso dell’odio è stato definito come l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo. Chiunque può diventare oggetto di questa forma di odio e per i motivi futili. Ma se si appartiene a particolari gruppi sociali, se si condividono caratteri somatici o culturali minoritari nella società in cui si vive si può essere oggetto di insulto, denigrazione e incitamento all’odio solo per questo, a prescindere da ciò che si è, si è fatto e si fa. In questi casi il discorso dell’odio si innesta spesso su fenomeni di stereotipi discriminatori.

Nella nostra società contemporanea, il linguaggio dell’odio non si affida più solo alla comunicazione faccia a faccia o tramite la carta stampata. Trova un potente mezzo di diffusione sui social media, caricandosi di una forza distruttiva troppo spesso fuori controllo.

Nelle sue raccomandazioni la Commissione insiste sull’azione di autocontrollo che dovrebbero esercitare i media, non solo rispetto al linguaggio che utilizzano, ma anche rispetto alla qualità della informazione. Lo stesso autocontrollo dovrebbe essere esercitato da chi ha un ruolo pubblico, a cominciare dai politici. Altrettanto se non più importante, è l’opera di formazione che dovrebbe essere messa in atto dalle scuole, per educare al rispetto degli altri nelle loro molteplici diversità e all’uso critico delle informazioni e degli strumenti di comunicazione. Sono necessarie anche norme punitive per chi incita all’odio e al dileggio. Ma senza una azione di prevenzione rischiano di rimanere inefficaci.