Stando alle notizie dell’ultim’ora sembrerebbe che l’Italia sia restia a procedere in tempi brevi all’introduzione del nuovo Accordo sui frontalieri, siglato lo scorso dicembre. A nostro modo di vedere, l’Italia, per lo meno a medio termine, accoglierà questo trattato perché le è estremamente favorevole sia in termini politici sia in termini fiscali; la Svizzera che dovrebbe avere giustificate riserve sembra, invece, non coglierle adeguatamente.
Il giustificato interesse riferito all’entrata in vigore dell’accordo è, tuttavia, oggi di secondaria importanza. Il vero problema, che per ora non sembra essere avvertito adeguatamente, è quello del lavoro da remoto o telelavoro, meglio noto come lavoro da casa o home office, destinato a sovvertire i fondamenti dell’allocazione della sovranità fiscale sin qui seguiti.
Il modello dell’Ocse (M-Ocse) e il suo Commentario, riguardante le modalità per ovviare alla doppia imposizione internazionale, prescrivono, tra l’altro, che una persona residente in uno Stato (ad es. l’Italia) che riceve un salario da un datore di lavoro residente in altro Stato (ad es. la Svizzera) è imponibile nel primo Stato (Italia), salvo che non svolga la propria attività nell’altro Stato (Svizzera). Questa disposizione mostra la sua inadeguatezza tanto più ora che il Covid-19 ha imposto nuove abitudini e comportamenti. Tra questi si deve annoverare il lavoro da remoto, sdoganato lo scorso anno e che si impone in questo scenario come nuova quotidianità. A titolo interlocutorio, seguendo delle linee guida rese dall’Ocse nel mese di aprile 2020, gli Stati hanno deciso di continuare ad applicare le regole vigenti pre-Covid-19. Con riferimento alla categoria dei frontalieri, che riveste particolare interesse per il Ticino, un lavoratore residente in Italia che percepisce uno stipendio da parte di un datore di lavoro svizzero, ma che svolge la propria attività dall’abitazione italiana, continuerà a essere tassato in Svizzera. Se questa politica è certamente adeguata a questo fenomeno che si presupponeva, ora sembra a torto, transitorio, non lo è altrettanto certamente in considerazione del fatto che il lavoro da remoto sia ormai affermato. Sono, quindi, da attendersi nuove regolamentazioni.
Ci si chiede, quindi, cosa potrebbe accadere in futuro sia in generale sia in riferimento al trattato sui frontalieri con l’Italia. Molto probabilmente gli Stati dovranno prendere atto di questa nuova situazione e riconoscere che la sovranità fiscale spetta, nei casi citati, allo Stato in cui si svolge l’attività da remoto che, di regola, coinciderà con quello di residenza del lavoratore.
Le imposte dovute dal frontaliere residente in Italia pagato da un datore di lavoro svizzero, in progresso di tempo saranno dovute all’Italia o alla Svizzera? A questa questione non è possibile rispondere in modo compiuto, ma è ragionevole attendersi una modifica della situazione transitoria. Questo significa che un numero considerevole di lavoratori frontalieri residenti in Italia, pagati da datori di lavoro svizzeri, potrebbe ragionevolmente essere imposto in Italia e non più in Svizzera.
Sarebbe opportuno che l’autorità politica svizzera tenesse conto anche di queste riflessioni nel momento in cui discuterà del nuovo accordo sui frontalieri a maggior ragione avuto riguardo a quanto previsto già nell’Accordo medesimo laddove si lascia margine per una futura disciplina del telelavoro transfrontaliero. Se il lavoro da remoto dovesse persistere, e sembrerebbe essere questo il caso, è possibile che una parte degli introiti fiscali su cui poteva oggi contare il Ticino venga ridotta in misura considerevole. L’ammontare dei ristorni che oggi supera i 90 milioni di franchi potrebbe essere ridotto. Forse qualche parlamentare potrebbe dar conto di qualche suggerimento a questo proposito nell’ambito del dibattito che si svolgerà alle Camere federali.