Le misure per fronteggiare la pandemia, il rifiuto di vaccinarsi hanno radicalizzato due fronti opposti: scatenando tensioni e minando la coesione sociale. Il “Noi” quasi euforico della prima fase pandemica (ricordate gli applausi per il personale sanitario?), l’“uniti, malgrado le differenze” che lasciava trasparire una certa consapevolezza e la voglia di “voltare pagina” con propositi di realizzare un’altra società sono svaniti quasi nel nulla all’insorgere della seconda fase, caratterizzata da “si salvi chi può”, l’“Io in primis”, il ripiegamento su sé stessi, con comportamenti egoistici, taluni quasi “bestiali”. I contrari alle misure si appellano al principio di libertà contemplato dalla Costituzione. Che fare per ritrovare coesione, unità d’intenti nel rispetto delle differenze?
Per rispondere occorre risalire alla genesi degli eventi, identificare e comprenderne le dinamiche sottese alla società moderna che evolve rapidamente, e ha raggiunto un livello di performance mai conosciuto finora, reso possibile dal vertiginoso sviluppo di conoscenze scientifiche, tecnologia, forze produttive e della globalizzazione. Tale sviluppo ha necessitato di decisioni normative rapide, quindi di forme di governo sempre più verticistiche, tecnocratiche e/o autoritarie. Le conseguenze, oltre ai disagi generati dalla “pressione normativa” a conformarsi, un calo di implicazione e partecipazione alla vita “politica” (vedi assenteismo dilagante) anche laddove vige una lunga pratica di democrazia diretta come quella Elvetica.
Occorre anche precisare il significato di libertà (e di agire in libertà) invocata da molti. “I reticenti (a vaccinarsi) – scrive Andrea Ghiringhelli, laRegione, 2 settembre – rivendicano la libertà, ma è una libertà, la loro, che nega i fondamenti stessi su cui si regge: la responsabilità collettiva e il dovere della solidarietà. Benedetto Croce l’ha chiarito: la libertà al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale”. Ovvero la rivendicazione di “libertà” di agire non deve far dimenticare che quali esseri umani esistiamo solo perché vi sono altre persone. Quale comunità, come qualsiasi gruppo, funzioniamo secondo regole e convenzioni, definite e formalizzate (le leggi), altre invece inconsce e/o informali (consuetudine, tradizioni).
Lo stesso Croce precisa che “Azione libera è quella che il nostro spirito crea perché non potrebbe crearne altra, l’azione conforme all’esser nostro nella situazione determinata, la soluzione del problema che il passato ci ha preparato ma che noi poniamo e risolviamo”. Ovvero non siamo liberi di fare e decidere come ci pare, bensì liberi di contribuire a risolvere un problema portando un contributo utile.
Superare democraticamente una situazione di crisi (da quella pandemica a quella climatica) in uno spirito di unità d’intenti significa realizzare almeno 3 condizioni: a) volontà di voler comprendere la tesi della controparte in contraddizione con la propria (antinomia); b) adottare forme istituzionali di pubblico confronto, che agevolino l’“azione libera” indicata da Croce ; 3) un accordo deliberato, riconosciuto ed applicato da tutti i cittadini senza coercizione. Per i paesi che si vogliono democratici si chiama democrazia deliberativa.