Un essere desiderante che non si placa mai: è la definizione dell’essere umano che forse più ci aiuta a cogliere la cifra drammatica del momento storico presente in cui sembra consumarsi la nostra civiltà occidentale quasi stanca di esistere. Ma se non aiuta nessuno parlare con disprezzo di decadenza (come se non fossimo tutti sulla stessa barca) neppure aiuta aggrapparsi all’illusione di un progresso inarrestabile, fatto di una corsa frenetica alla trasformazione di desideri in diritti, da fissare nelle leggi. Non sarà così che i desideri si realizzeranno, in una soddisfazione piena e liberante, e non solo perché essi sono segni dell’aspirazione a una felicità “impossibile”. C’è una ragione subito tangibile, ed è il conflitto che spesso il nuovo diritto conquistato genera nel rapporto con altri diritti.
Qui c’è il punto di contraddizione più flagrante dell’operazione “Matrimonio per tutti”. Il “diritto al figlio” cancella il diritto del figlio ad avere un padre (quello biologico non potrà per legge mai esserlo giuridicamente e potrà decidere se farsi conoscere – assai improbabile - dal figlio 18enne, tra i tanti generati con il suo dono di sperma). All’improvviso scendiamo dalle barricate della giusta lotta per i diritti del bambino (come la metteremo con le Convenzioni Onu sottoscritte?) e saliamo su quella opposta invocando “giustizia” per le coppie lesbiche e uguaglianza di diritti con quelle etero, compreso il diritto al figlio, comunque realizzato. Dimenticando tranquillamente anche le recenti giuste rivendicazioni sul ruolo fondamentale del padre “sin dai primi giorni di vita” dell’infante.
Raramente si era visto un dibattito referendario ruotare attorno a un palese equivoco com’è accaduto con “Matrimonio per tutti”. L’equivoco è consistito nel presentare lo scopo di tutta l’operazione quasi fosse la cancellazione di un ultimo bastione di omofobia, quello di impedire a due persone dello stesso sesso di palesare pubblicamente il loro “sì lo voglio” a una prospettiva di unione stabile e fondata sull’affetto reciproco. Bastione, se mai, già abbattuto 15 anni fa con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto dell’Unione domestica registrata per coppie dello stesso sesso. Si sarebbe infatti potuto modificare tale istituto, aggiungendo un paio di diritti del tutto secondari “dimenticati” 15 anni fa, nonché la modifica verbale (anche se contraddittoria, ma è un dettaglio) di “unione domestica” in “matrimonio”.
In realtà chi ha messo in campo la modifica della legge sul matrimonio lo ha fatto per una precisa ragione: ottenere il “diritto al figlio” per le coppie dello stesso sesso tramite il via libera a un’estensione della procreazione artificiale. Si allarga così sempre di più la faglia tra sessualità e fecondità. E cresce la hybris di un superuomo che da una parte manipola i dati di natura con il “superamento” della diversità sessuale (ideologia gender a supporto), e dall’altra si incammina verso la fabbricazione della vita umana tramite la progressiva adozione delle più svariate tecniche di procreazione “assistita”.
Due brevi note infine. Nei dibattiti referendari ha fatto capolino la questione della psicanalisi, opportunamente chiamata in causa da chi si oppone a “Matrimonio per tutti”, non senza sollevare stupore. Non occorre tuttavia essere psicanalisti per intuire le ragioni di una profonda perplessità sull’omogenitorialità da parte di chi fonda il proprio lavoro terapeutico sulla teoria freudiana dell’Edipo, nella quale la presenza di due genitori di sesso diverso è essenziale per la formazione stessa dell’identità del bambino.
D’altra parte, stupisce invece l’argomento (evocato di recente in un editoriale del CdT) in forza del quale le generazioni più mature dovrebbero arrendersi alla tranquilla indifferenza dei giovani rispetto alla natura omo o eterosessuale delle coppie che mettono al mondo figli o li adottano. Solo una battuta: abdichiamo al compito educativo dei nostri figli e cediamolo a Tik Tok. Non faranno che sorprenderci con sempre nuove forme di indifferenza.