L’idea di introdurre in Ticino lo strumento del referendum finanziario obbligatorio (Rfo) per spese superiori ad un certo limite potrebbe anche sembrare corretta in un periodo caratterizzato da grandi sforzi per le finanze cantonali, chiamate a sostenere l’economia tutta di fronte alla crisi pandemica. In realtà, essere costretti a chiamare alle urne i cittadini ogni qual volta viene proposta una spesa superiore ai 20 milioni (spesa unica), oppure una spesa annua superiore ai 5 milioni, si trasformerebbe rapidamente in un autentico boomerang democratico. Pensateci: già oggi la percentuale di votanti è in costante flessione sui temi cantonali e federali, senza dimenticare che moltiplicare le votazioni significa anche aumentare i costi e che già oggi le spese cantonali sono sottoposte a severi parametri d’analisi, regolati dalla legge sul freno al disavanzo. Insomma, il referendum finanziario obbligatorio è uno strumento superfluo, tanto più che se una spesa non convince, può essere comunque sottoposta a referendum, grazie ad una legge datata 1951.
Ma a preoccuparmi ancor più del proliferare di appuntamenti alle urne, è il fatto che l’introduzione dell’Rfo in Ticino andrebbe a pesare in ultima analisi soprattutto sulle zone periferiche. L’introduzione di questo strumento, infatti, rischierebbe di rallentare la realizzazione di investimenti necessari allo sviluppo del nostro Cantone e delle sue differenti regioni, comprese quelle più discoste. Chiamare alle urne il popolo per decidere su un investimento necessario in alta Leventina, Onsernone o in un’altra valle ticinese, arrischia di metterne a repentaglio il futuro, perché spesso questi investimenti non dipendono unicamente da ragionamenti finanziari, ma sono frutto di delicate analisi socioeconomiche sugli equilibri regionali. E una bocciatura popolare romperebbe irrimediabilmente questo equilibrio frustrando le prospettive di sviluppo di regioni già particolarmente in difficoltà. Un rischio che non è davvero il caso di correre il prossimo 26 settembre. Inoltre, l’Rfo potrebbe portare con sé atteggiamenti egoistici e regionalistici, per cui, ad esempio, spese ed investimenti concernenti alcune zone meno popolate arrischierebbero di essere bocciati dai cittadini di altre regioni più popolose. Sono certo che l’adozione della legge sul freno ai disavanzi, unitamente al referendum finanziario facoltativo e ad altri strumenti in vigore, siano mezzi sufficienti per garantire una gestione oculata e parsimoniosa delle finanze pubbliche. Non ho dubbi, quindi, a votare No sia all’iniziativa che al controprogetto.