I dibattiti

L’Europa e la democrazia

Da Visegrad a Salvini, le tendenze autoritarie e sovraniste sottopongono il continente a tensioni costanti. E in Svizzera?

Diego Scacchi (Ti-Press)
13 agosto 2021
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Da parecchi anni si sta svolgendo, nell’Unione europea ma non solo, un interessante dibattito sulle istituzioni democratiche che dovrebbero caratterizzare questo organismo, nonché tutti i suoi membri. Su questo giornale sono apparsi due contributi molto interessanti, che meritano qualche ulteriore riflessione.

Il primo è l’editoriale di Aldo Sofia del 30 luglio, nel quale l’autore si sofferma sul “fronte di Visegrad“, formato da quattro Paesi dell’ex blocco sovietico (dominato dall’Ungheria di Orban, affiancata dalla Polonia di Dova, e completato dalla Repubblica ceca e dalla Slovacchia). Questa compagine è schierata contro la politica dei migranti e rifugiati perseguita dall’Ue, ma soprattutto dileggia i principi democratici che dovrebbero presiedere alla politica europea (tra cui una legge sui minorenni e gli omosessuali fatta approvare dal parlamento ungherese, che ha suscitato la sdegnata reazione della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, nonché il voto a grande maggioranza del Parlamento europeo che la considera un tentativo di “smantellamento della democrazia e dello stato di diritto“). Sofia sottolinea che la reazione europea si giustifica soprattutto “perché non è più rinviabile la risposta a una domanda esiziale: quanto sia sopportabile nella vita comunitaria il continuo strappo a quelli che, quantomeno teoricamente, sono i valori fondanti dell’Ue; e se una lunga passività non rischi di condannare le fondamenta dell’Unione“. 

Il secondo è l’articolo del 4 agosto di Orazio Martinetti, significativamente intitolato “Venti gelidi da Est“, che si occupa del fatto più importante avvenuto poche settimane fa nel contesto sopra menzionato: il documento, firmato da esponenti politici non solo del fronte di Visegrad, ma anche dell’Europa occidentale come Marine Le Pen e Matteo Salvini, che condanna aspramente i principi politici democratici espressi dall’Ue, e accusa quest’ultima di attentare al principio di sovranità. Una chiara espressione antieuropea: Martinetti ricorda che “ai principi ereditati dalla Rivoluzione francese (libertà, uguaglianza, fratellanza) si contrappone la triade della conservazione: Dio, patria, famiglia “. In sostanza, si vuol recuperare un “ordinamento preliberale“. Particolarmente significativa la presenza, tra i firmatari, del leader della Lega italiana, partito che si trova a far parte del Governo presieduto da Mario Draghi, convinto e autorevole europeista. Un europeismo combattuto da Salvini, non solo con la firma del menzionato documento, ma anche con numerose affermazioni in chiaro contrasto con la politica del governo del quale la Lega fa parte.

È ovvio che queste manifestazioni antieuropee e anche di stampo neofascista preoccupano parecchio i sinceri democratici, sia quali cittadini degli stati dell’Ue, sia perché attenti osservatori delle vicende europee. Tra questi, indubbiamente, gli Svizzeri. E qui occorre affermare che, almeno in buona parte, l’opinione di chi alcuni decenni fa era decisamente favorevole a un avvicinamento del nostro paese all’Ue, in vista di un’eventuale entrata nella stessa, è diventata assai più reticente, proprio per quei rigurgiti autoritari che avvelenano il dibattito democratico all’interno dell’organismo europeo. Se nel 1992 il sottoscritto appoggiò convinto l’adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo, da intendersi anche quale primo passo verso una adesione all’Ue – del resto una domanda ufficiale in tal senso era stata presentata dal Consiglio federale, ed è tuttora pendente –, oggi le convinzioni non sono più le stesse: un’adesione della Svizzera, vecchia democrazia, dovrebbe perlomeno avvenire in un’istituzione europea ove non fosse contestato, come invece lo è oggi, il principio democratico.

Una soluzione ”intern “ del problema è suggerita da Martinetti: constatate le insanabili divergenze, i contestatori “dovrebbero trarne le logiche conseguenze, ossia apprestarsi a lasciare la compagnia dell’Unione“. Proposito da sottoscrivere appieno, ma di difficile realizzazione, non fosse altro che per i cospicui aiuti ricevuti a getto continuo dall’Europa; una preda troppo abbondante e gustosa per abbandonarla, anche a dispetto della democrazia: tanto questi signori si permettono di dimenticarla comunque, senza correre troppi rischi.

Un altro fattore negativo, per chi crede alla necessità di uno Stato che abbia le possibilità finanziarie di condurre una vera politica sociale, a beneficio di tutti i cittadini e non solo di categorie privilegiate, è la politica che l’Ue, influenzata pesantemente dall’ondata menostatista e privatista che ha influenzato tutto il mondo, conduce ormai da parecchi anni con liberalizzazioni, privatizzazioni e deregolamentazioni, con ripercussioni evidenti sugli Stati membri. Ne esce un ridimensionamento del servizio pubblico, che suscita la reazione in chi crede che lo Stato debba fornire, anche nell’ambito della giustizia sociale, un’efficiente rete di prestazioni, dai trasporti agli ospedali, dalle scuole all’energia, ad altri settori. Anche per questo motivo, l’attrazione dell’Europa si è stemperata.

In questo contesto, la posizione dei poteri pubblici svizzeri è tutt’altro che facile. Dopo la decisione di abbandonare l’accordo quadro con l’Ue, non molte vie sono praticabili. E’ chiaro che, per affrontare un dialogo serio e costruttivo con l’Europa, un’efficiente coesione nazionale sarebbe auspicabile. Ma le prospettive in questo senso non sono positive. Un esempio: l’attacco, portato in modo rozzo e bizzarro dal presidente svizzero dell’Udc – un ticinese, tanto per non farci mancare nemmeno questa “distinzione “ – all’impostazione politica delle città, accusate di proteggere i “parassiti“ e contrapposte alle sagge campagne. I problemi per il nostro paese non mancano: almeno si eviti di crearne di nuovi e pretestuosi, con assurde diatribe che pregiudicano un indispensabile accordo nazionale.