Genesi del Bitcoini, la criptovaluta che ha rotto gli schemi monetari nonostante i tanti detrattori e l’iperconsumo di elettricità
Vivere a cavallo tra il 20 e il 21.mo secolo sembra avere dei risvolti fantascientifici nella finanza come con i protocolli di Isaac Asimov per l’intelligenza artificiale.
Se i manuali in cui studiavamo la politica monetaria si riferivano alla fine del regime di Bretton Woods, con l’introduzione dei cambi flessibili negli anni ‘70 per permettere la svalutazione del dollaro ancora legato al gold standard del dopoguerra, oggi siamo confrontati con il concetto di valute digitali il cui valore intrinseco dipende dalla capacità di calcolo per catene di blocchi di informazioni condivise e immutabili (blockchain); criptate in un registro e modificabili soltanto in modo decentralizzato con il consenso della maggioranza degli operatori seguendo un determinato protocollo, sia per le transazioni che per l’emissione di bitcoin ogni 10 minuti, la cui offerta finale dovrebbe limitarsi a 21 milioni di esemplari. Un sorta di democrazia diretta tramite le reti digitali che controlla il valore della propria moneta, migliaia di miliardi più complessa in termini di calcoli crittografici del primo Bitcoin emesso nel 2010 con soli 32 MB di memoria rispetto ai 347,79 GB dell'ultima transazione di cui prendo nota. Il tutto ideato da una figura ormai leggendaria come Doraemon per i miei figli, Satoshi Nakamoto che ha utilizzato il primo bitcoin per comprare una pizza, ma la cui identità rimane ancora elusiva. Perché creare una struttura societaria opaca per garantire l'anonimato quando la crittografia matematica dei bitcoin fa ciò all’istante, perché affidarsi a delle banche centrali che stampano moneta come mai o a delle società quotate in borsa che da un giorno all'altro diluiscono o azzerano il valore degli azionisti quando un gruppo di potenti calcolatori garantiscono il valore intrinseco di una moneta unica?
Se c’è chi sostiene che la peste nel 1200 abbia favorito l'introduzione del sistema monetario in Inghilterra e lo smantellamento del sistema dei tributi in natura imposti dal regime feudale, lo fa anche alla luce di quanto successo in quest'ultima pandemia, l'assalto ai bitcoin e valute simili il cui valore si è moltiplicato fino a 15 volte a braccetto con l'economia digitale. La sensazione che la fine del mondo come lo conosciamo si avvicini non ha fatto che sprigionare lo spirito imprenditoriale di queste monete, la cui operabilità è garantita anche da una rete di trasmissioni satellitari e da un ecosistema sempre più complesso per ogni tipo di transazione. Prova ne è la recente quotazione in borsa di Coinbase. E sulla scia di questi eventi, Paypal e uno dei suoi fondatori, Elon Musk, hanno pensato di introdurre queste valute nelle proprie aziende come molti gestori patrimoniali raccomandano ai loro clienti di investire a fondo perso l’1% dei propri attivi. Il risultato è che un rumore ha inseguito l’altro tramite reddit o la piattaforma twitter di Jack Dorsey (altro patrocinatore di bitcoin) rendendo straordinarie anche quelle valute create per scherzo come Dogecoin.
E con l’iperbole dell’economia digitale siamo giunti a una scarsità di microprocessori che ha portato a un consumo annuale di energia elettrica, solo per la creazione di bitcoin, pari a quello prodotto in Svizzera e quasi due volte superiore a quello consumato da 167 milioni di abitanti in Bangadlesh. Simili considerazioni e molte altre fanno riflettere sull’utilità di questi prodotti in paesi dove mancano sufficienti garanzie finanziarie. Non è sorprendente che la Romania, secondo alcune fonti, sia tra i più grandi detentori di bitcoin al mondo? Ma una valuta che dimostra grande instabilità come in quest’ultima correzione non può diventare un punto di riferimento. L'hanno intuito sia Elon Musk, al di là delle sue considerazioni ecologiche, sia la Cina che cerca di introdurre una propria moneta digitale per controllare la fuga di capitali malgrado le velleità pressoché totalitarie denunciate dai più. Nel mondo occidentale e in America gli alibi sono ancora tanti per non procedere con la digitalizzazione del dollaro al punto che l'ipotesi di adottare lo stesso bitcoin come moneta di riferimento digitale non viene scartata dalle anime più libertarie.