Chi vive in una regione di montagna vi affermerà che è il posto più bello che ci sia. La popolazione riconosce una ricchezza in questo territorio che va ben oltre l’immagine di un paesaggio bucolico, precisamente nel valore del rapporto di interdipendenza stilato tra essere umano e natura, che è parte integrante della cultura e del vivere quotidiano. Eppure tante e tanti sono le e i giovani che una volta terminato il loro percorso formativo altrove, nei centri urbani o in Svizzera interna, decidono di non ritornare; o se lo fanno, con la consapevolezza di compiere rinunce importanti. Perché? L’accessibilità e la qualità di una serie di servizi e condizioni di vita sono insufficienti. Si parla spesso di "fuga di cervelli", sineddoche limitante nella comprensione del fenomeno, e che riduce l’identità di queste persone, escludendo chi ha seguito una formazione professionale e non universitaria. Mancano opportunità lavorative e formative, i salari sono troppo bassi e il costo della vita è in costante aumento, come nel resto del Ticino. Ma non solo. Mancano spazi aggregativi e culturali adatti alle e ai giovani; la garanzia di servizi di prossimità; una mobilità sostenibile adatta alle necessità di spostamento sul territorio e verso i centri; alloggi a pigione moderata; le condizioni per la conciliabilità lavoro-famiglia per le donne, le quali assieme alle persone queer e migranti vivono quotidianamente discriminazioni lavorative e sociali. Rendere le Valli un luogo in cui vivere e non sopravvivere è possibile anche finanziariamente, manca la volontà politica per farlo: in un governo dove la maggioranza borghese propone ingenti tagli al pubblico, insieme a sgravi fiscali a chi detiene la maggior parte della ricchezza, che continua ad accrescerla senza ridistribuirla.