Nella festa nazionale francese, un 31enne di origini tunisine si lanciava sulla folla alla guida di un camion uccidendo 86 persone. Al via il processo
Sono le 21.34 del 14 luglio 2016, festa nazionale in Francia, la folla si accalca sulla Promenade des Anglais di Nizza per assistere ai fuochi d’artificio. Fra la gente c’è anche Linda Casanova Siccardi, 54 anni, di Agno: ispettrice doganale, anzi, la prima donna in Ticino ad aver ottenuto il diploma di specialista doganale, è in vacanza con il marito. A poca distanza, in un parcheggio, c’è un uomo, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, 31enne francese di origini tunisine. Non è un musulmano praticante, anzi beve e mangia carne di maiale, e anche se è già noto alla polizia per violenze e uso di armi, non risultano legami con il terrorismo islamico, almeno ai servizi segreti francesi. Ma negli ultimi tempi, almeno stando a quanto trovato sul suo computer e alle testimonianze degli amici, il fondamentalismo del Califfato islamico aveva attirato la sua attenzione: video violenti, anche di decapitazioni, canti e preghiere coraniche, e una frase rivolta a un amico sul fatto che "l’Isis dovrebbe avere un proprio territorio". A offrire terreno fertile per la propaganda jihadista è una mente già turbata: Bouhlel è in cura per problemi psichiatrici, depresso per la separazione dalla moglie su cui spesso si accanisce con violenza.
Nel parcheggio c’è un camion noleggiato alcuni giorni prima. Bouhlel sale a bordo, accanto a sé sul sedile altre armi, alcune finte, altre vere, fra cui una pistola e due mitra. L’uomo accende il motore: il camion parte, aumenta di velocità, e si trasforma in una bomba micidiale lanciata sulla folla assiepata sul lungomare. Percorre quasi due chilometri, con l’autista che spara all’impazzata con un mitra dal finestrino travolgendo chiunque si trovi sul suo cammino: donne, uomini, bambini. La sua corsa finisce davanti all’Hotel Negresco, dove viene ucciso da agenti di polizia. Sul terreno lascia una pesantissima scia di sangue: 86 morti, tra i quali bambini e adolescenti, e oltre 450 feriti. E sotto le ruote del veicolo trasformato in una macchina di morte dalla follia jihadista, rimane anche Linda Casanova Siccardi. Con lei altre due vittime svizzere, una bambina di 6 anni e la madre, che morirà pochi giorni dopo.
L’Isis, un paio di giorni dopo, si fionderà a rivendicare l’attacco, definendo Bouhlel un suo "soldato". Man mano, la pista del gesto isolato di un "lupo solitario" perde terreno, ed emergerà la premeditazione dietro l’attacco: ricerca di informazioni sul programma della festa nazionale a Nizza, una cauzione di 1’600 euro per noleggiare il camion e sopralluoghi sul luogo dell’attentato, con tanto di selfie scattati e ritrovati sul telefono. Fra questi, anche uno sul camion della morte il giorno della strage, e un ultimo alle 19.25: solo due ore dopo, sul lungomare di Nizza si scatenerà il terrore jihadista.
Keystone
I morti e il dolore
Oggi, quella strage, e quei concitati momenti, sono approdati in un’aula di tribunale in quello che è considerato il maxiprocesso per l’attentato di Nizza. Sono otto gli accusati alla sbarra. Con loro, chiamati a testimoniare, saranno anche i familiari delle numerose vittime. Un dibattimento che ha luogo nella stessa enorme aula bunker costruita nel Palazzo di Giustizia di Parigi per celebrare il dibattimento agli attentati del 13 dicembre 2015 nella capitale francese. In questo nuovo processo, che potrebbe durare non meno di tre mesi, mancherà, come anticipato, il principale imputato, l’autore materiale della strage, il tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, protagonista di quello che è considerato il secondo attentato in Francia che ha causato il più elevato numero di vittime dopo quelli dell’autunno parigino.
Una vacanza spensierata, in piena estate, su un lungomare fra i più famosi al mondo, la Promenade des Anglais. E soprattutto in una giornata speciale, il 14 luglio, quando tutta la Francia si ferma per commemorare la festa nazionale. Linda Casanova Siccardi si trova a Nizza con il marito e insieme stanno assistendo allo spettacolo dei fuochi d’artificio. Nessuno poteva immaginare che, poco dopo, la passeggiata si sarebbe trasformata in un inferno. «Da quel giorno – ci dice ancora con emozione il sindaco di Agno (comune dove la donna risiedeva) Thierry Morotti – parlarne è sempre stato un argomento difficile. Sono ricordi, potrebbe sembrare scontato, che non si dimenticano... Difficile trovare una giustificazione a un tale gesto. Speriamo quindi che la giustizia, seppur senza il primo e maggiore protagonista in aula, faccia il suo corso, e che qualcuno paghi per quello che ha portato a commettere».
Quel giorno, era un giovedì, a trovare la morte con la 54enne luganese, originaria di Caslano, sono state, fra le 86 vittime, anche altre due cittadine svizzere, fra cui una bambina. L’attentato è rimasto fermo, congelato nei pensieri dei molti che conoscevano Linda, non solo per il suo impegno professionale nei quadri della dogana commerciale del servizio civile, con sede a Ponte Tresa, e recentemente rinominata Lugano Vedeggio: «Il suo nome però lo abbiamo evocato – continua il sindaco – soprattutto tutte le volte che abbiamo incontrato, come amministrazione comunale, e per me nel discorso di fine anno, la locale Filarmonica. Quella tragedia non poteva non tornare a galla, una tragedia che è sempre riaffiorata, dolorosa e forte nei sentimenti». Nessuna cerimonia eclatante, nessuna attestazione ufficiale nel ricordo della cittadina, in particolar modo per rispondere alla discrezione e alla riservatezza dei familiari, dimostrate fin da quella terribile notte: «Sì, abbiamo voluto rispettare la loro volontà» chiosa Morotti. Silenziosamente, ma non per questo meno sentito e condiviso.