Vantaggi economici per quasi 200 frontalieri, residenti in comuni erroneamente considerati distanti oltre i venti chilometri dal confine con la Svizzera
Diventano tre le tipologie di frontaliere. Alle due classiche dei ‘vecchi’ e ‘nuovi’ frontalieri, previste dall’accordo tra la Repubblica italiana e la Confederazione elvetica sull’imposizione fiscale dei frontalieri in vigore dal luglio dello scorso anno, se ne aggiunge una nuova. Coloro che erano considerati i ‘frontalieri fuori fascia’, tassati in Italia con le aliquote Irpef in quanto residenti in venti comuni lombardi, erroneamente considerati distanti oltre i venti chilometri dal confine con la Svizzera.
A sanare una situazione insostenibile per chi ha pagato tasse comprese fra il 23 (per imponibili sino a 28mila euro) e il 42% (per imponibile oltre i 100mila euro), con una aliquota intermedia del 35% (per redditi tra 28 e 100mila euro, percepiti dalla quasi totalità dei frontalieri), ci ha pensato il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, varesino, che in questi giorni ha presentato un disegno di legge che prevede vantaggi economici per quasi duecento frontalieri, considerati fuori fascia, anche se i comuni in cui risiedono figuravano nella procedura amichevole del 22 dicembre 2023. A tagliare la testa al toro è stato l’Istituto geografico militare di Firenze che su richiesta del ministero dell’Economia e delle finanze, dopo un’attenta verifica ha certificato che i venti comuni lombardi sotto esame distano non oltre i venti chilometri dalla Svizzera, per cui sono da considerare ‘comuni frontalieri’.
I comuni di cui si parla sono Brebbia, Gerenzano, Saronno e Vergiate (Varese), Barlassina, Briosco, Cogliate, Giussano, Lazzate, Lentate sul Seveso, Meda, Misinto, Veduggio con Colzano (Monza-Brianza), Bulciago e Molteno (Lecco), Andalo Valtellina e Bema (Sondrio), Schilpario, Valbondone e Vilminore (Bergamo) e Ponte di Legno (Brescia). I sei comuni delle province di Sondrio, Bergamo e Brescia confinano con i Grigioni, gli altri quattordici con il Ticino.
A questo punto è opportuno precisare che il disegno di legge di Giorgetti è un’iniziativa unilaterale che non coinvolge la Confederazione elvetica, anche perché tutti i costi economici ricadono sull’Italia e non è stato preventivamente discusso con le organizzazioni sindacali e con l’Assemblea nazionale dei comuni di frontiera. Secondo il disegno di legge Giorgetti i frontalieri residenti nei venti comuni lombardi continueranno a pagare le tasse in Italia, in quanto nelle more dell’accordo italo-svizzero in vigore dal luglio dello scorso anno, non possono essere considerati ‘vecchi frontalieri’. Per loro è invece prevista un’aliquota Irpef del 4%. Una differenza abissale rispetto a quanto si è fin qui pagato. Alcuni di loro hanno già fatto sapere di essere intenzionati a chiedere il rimborso delle tasse non dovute. Mentre per i comuni che nel corso degli ultimi anni in diverse occasioni avevano chiesto di beneficiare dei ristorni dei frontalieri, il ministro Giorgetti prevede un contributo statale sino al 2033 (anno in cui cesseranno i ristorni dei frontalieri). Comuni che, come tutti gli altri confinanti con i Cantoni Ticino, Grigioni e Vallese, negli anni successivi beneficeranno delle risorse del Fondo per lo sviluppo economico e il potenziamento delle infrastrutture nelle zone di confine italo-svizzero alimentato dalle tasse pagate dai ‘nuovi’ frontalieri.
Considerato che il numero dei nuovi frontalieri è destinato a crescere, il Ministero dell’economia e delle finanze prevede che il Fondo per lo sviluppo, fortemente voluto dalle organizzazioni sindacali e dall’Associazione nazionale dei Comuni di frontiera, crescerà a vista d’occhio. Se per quest’anno è prevista una dotazione di 1,6 milioni di euro, nel 2044 (anno in cui sarà a regime) il ‘tesoro’ sarà salito a 221 milioni di euro. Una somma ingente alla quale guardano con interesse i Comuni di frontiera, compresi i venti elencati nel disegno di legge Giorgetti. Comuni che nel corso dell’ultimo mezzo secolo sono riusciti a finanziare servizi e lavori (come la viabilità), grazie ai ristorni dei frontalieri. Intanto, continua a far discutere la ‘tassa sulla salute’ sul cui destino non si hanno ancora notizie certe. I sindacati di categoria sono sempre più intenzionati a ricorrere alla Corte costituzionale, visto che molti giuristi hanno sentenziato che presenta non pochi rilievi di incostituzionalità. Primo fra tutti il fatto che chiedere ai vecchi frontalieri di pagare una quota mensile per beneficiare del Servizio sanitario nazionale non può essere considerato un contributo, bensì una vera e propria seconda tassa.