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Omicidio don Roberto, l’assassino ricorre in Cassazione

Il 53enne aveva accoltellato il prete il 15 settembre 2020

(Ti-Press)
2 marzo 2023
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"Non era imputabile nel momento in cui commetteva il reato perché incapace di intendere". È la tesi della difesa di Ridha Mahmoudi, il 53enne tunisino che la mattina del 15 settembre 2020 con quindici coltellate, in piazza San Rocco a Como, ha ucciso don Roberto Malgesini, il prete degli ultimi. Una tesi contenuta nel ricorso in Corte di Cassazione, in cui viene chiesto l’annullamento della sentenza dei giudici dell’Appello che l’11 novembre del 2022 hanno riformato la condanna: dall’ergastolo inflitto dai giudici di Como il 28 ottobre 2021 a 25 anni.

Il caso, dunque, non è chiuso e il ricorso presentato in queste ore lo conferma. Secondo la difesa – si legge nel ricorso – sarebbero "evidenti gli scompensi che hanno guidato l’agire dell’imputato fino all’abominevole reato di cui si è macchiato". C’è da osservare che a Milano gli scompensi sono già stati analizzati attraverso una perizia psichiatrica in cui l’esito non era stato quello auspicato dal legale che assiste il tunisino. Il perito nominato dall’Appello aveva infatti escluso malattie psichiatriche invalidanti e disturbi della personalità tali da escludere o far scemare la capacità di intendere e di volere.

Nonostante ciò la difesa ha deciso di ricorrere alla Suprema Corte: "La perizia era stata redatta dopo un solo incontro di 50 minuti più altri due di un’ora a quattro mesi di distanza – scrive l’avvocato Sonia Bova –. Il tutto con il paziente già sottoposto a terapia farmacologica". Insomma, per la difesa, in Ridha Mahmoudi non sarebbe stato sufficientemente "indagato" quel "senso di ingiustizia" che percepiva contro di sé, "sfociato in una ossessione contorta e preponderante sugli altri aspetti della vita". Nel ricorso in Cassazione si sostiene che: "In questa vicenda si è optato per la via più facile, prediligendo il favore mediatico rispetto a una presa di posizione decisa".

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