Tramite un complesso sistema formato da due società capogruppo e una rete di cooperative, veniva impiegata manodopera evadendo gli obblighi previdenziali
Una presunta maxifrode fiscale nell’ambito della "fornitura di manodopera", ossia di lavoratori nei settori delle pulizie, del facchinaggio, dei trasporti e della logistica per la grande distribuzione. È il centro dell’inchiesta della Guardia di finanza di Como, coordinata dalla procura comasca, che ha portato a quattordici misure cautelari, di cui nove in carcere, quattro ai domiciliari e un obbligo di firma, e a un sequestro preventivo da 7,7 milioni di euro (8,1 milioni di franchi).
In particolare, sono stati sequestrati al momento 16 appartamenti, due moto Harley-Davidson, 340’000 euro e 60’000 dollari (58’615 franchi) in contanti e alcuni orologi di lusso.
Il "complesso sistema di frode fiscale", come spiegano gli investigatori, sarebbe stato portato avanti dalla fine del 2015 mediante la "costituzione di 17 società cooperative" con al vertice un consorzio e una società a responsabilità limitata, le due società capogruppo, e con un ammontare di presunte false fatture da oltre 21 milioni di euro. Tra le accuse contestate l’associazione per delinquere.
Le cooperative, presunte "cartiere", avrebbero avuto "il compito di assumere la forza lavoro, di fatto gestita" dalle capogruppo.
Stando a quanto appreso dall’agenzia di stampa italiana Ansa, gli investigatori hanno sequestrato anche un orologio Rolex, quattro auto, 100’000 euro su conti correnti, un orologio Bulgari e orecchini di lusso Gucci e Chanel.
Nell’inchiesta si contano 21 persone indagate e 19 società, ossia le cooperative e le capogruppo, con sede tra Lombardia, Campania, Lazio e Piemonte.
Le capogruppo avrebbero acquisito nel tempo, spiega la procura di Como, "numerose commesse da primarie aziende operanti nel territorio comasco e nazionale" nel settore della grande distribuzione, ma operavano attraverso le cooperative di lavoro "a struttura precaria", tenute "in vita dagli indagati per limitati periodi di tempo e sostanzialmente inadempienti sia agli obblighi civilistici che fiscali".
Erano, in pratica, come si è visto già in molte altre indagini in Lombardia, solo "serbatoi di manodopera". Il presunto raggiro al fisco è stato creato con "l’emissione, da parte delle cooperative, nei confronti delle ‘società capogruppo’, di fatture per prestazioni di servizi "inesistenti", nelle quali venivano "falsamente addebitati i costi del personale". Con annesso "risparmio dei contributi previdenziali e assistenziali che il consorzio avrebbe dovuto sostenere nel caso avesse assunto i dipendenti delle varie cooperative".
Diversi lavoratori, "in gran parte extracomunitari", hanno messo a verbale che venivano assunti dalle cooperative (spesso dopo due anni cessavano l’attività), ma "non ne conoscevano il presidente". E cambiavano "continuamente e formalmente datore di lavoro", anche se di fatto, invece, avevano sempre gli stessi "referenti" negli stessi posti di lavoro. Per la gestione delle società veniva usata una "rete di prestanome".