I due locali a Cirimido e Cadorago sono considerati basi logistiche della potentissima cosca Molè della piana di Gioia Tauro
Il questore di Como Giuseppe De Angelis, con un provvedimento senza precedenti, ha chiuso due bar della Bassa comasca, in quanto considerati basi logistiche della potentissima cosca Molè, una ’ndrina della piana di Gioia Tauro, un tempo alleata ai Piromalli, di cui si è parlato a lungo nel novembre scorso, in occasione dell’operazione “Cavalli di razza” contro la ’ndrangheta, che ha portato all’arresto di 104 presunti ’ndranghetisti, di cui due a Lugano e altri nei cantoni Zurigo e San Gallo.
Il questore lariano ha revocato la licenza al bar “Liam” di Cirimido e ha sospeso per 90 giorni la licenza al bar “One Shot” di Cadorago. Due locali gestiti da incensurati ma che di fatto, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano, guidata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci, che ha sollecitato il provvedimento adottato dal questore Giuseppe De Angelis, erano gestiti da membri delle famiglie arrestati lo scorso novembre. Nella lunga ordinanza di custodia cautelare in carcere si parla spesso dei due bar che hanno abbassato le saracinesche in quanto luogo di incontri e patti d’affari fra almeno una ventina di ’ndranghetisti radicati non solo nel comasco, ma anche nel Ticino e nei cantoni Zurigo e San Gallo.
Le drastiche misure adottate dal questore comasco rappresentano l’onda lunga dell’operazione “Cavalli di razza” che, sviluppata sull’asse Calabria-Lombardia, passando dalla Toscana, aveva portato all’arresto di 104 persone, 54 dei quali in Lombardia, di cui 36 nel comasco. Gli altri arresti: 34 in Calabria e 16 nel filone toscano, due dei quali a Lugano. Quasi tutti calabresi gli arrestati, provenienti dalla piana di Gioia Tauro, finiti dietro le sbarre in quanto coinvolti in colossali traffici di cocaina dal Sud America. Un attività criminosa che si trova in tutti e tre i filoni dell’indagine. Complessivamente nel corso delle tre inchieste è stata sequestrata una tonnellata di cocaina. In particolare nei porti di Gioia Tauro e Livorno. E parte di essa (oltre 30 chilogrammi in pochi mesi del 2020) è stata sequestrata in Svizzera. L’inchiesta ha fatto emergere che lo spaccio di droga serviva per l’acquisito di armi. Una trentina quelle sulle quali gli investigatori hanno messo le mani. I quattro arrestati in Svizzera erano risultati implicati nell’operazione “Insubria” che nel novembre 2014 aveva portato all’arresto di 40 ’ndranghetisti appartenenti alle ’ndrine di Fino Mornasco, Cermenate e Calolziocorte.
A conferma della presenza di un cordone ombelicale che sembra legare le varie inchieste che nel corso degli anni hanno confermato il forte radicamento della ‘ndrangheta nel comasco con metastasi in Ticino. Una ennesima conferma dall’ordinanza del gup di Firenze che nell’ambito del filone toscano dell’operazione “Cavalli di razza” si sofferma sul ruolo dei due uomini arrestati a Lugano. “È il più quotato, per queste cose qui ... i contatti... preparare... parlare... organizzare”. E “queste cose qui” era cocaina in quantità industriale che dall’Ecuador, nascosta in container, arrivava ai porti di Livorno e Vado Ligure. Come nel caso di due carichi, per complessivi i 464 chilogrammi di polvere bianca, che una volta giunti, il 7 e 8 novembre 2019, nell’area doganale del porto toscano, erano stati sequestrati dalle forze dell’ordine. “Il più quotato” è uno dei due arrestati a Lugano. Un 41enne calabrese, nato a Catanzaro, residente a Guardavalle (Cosenza), da alcuni anni residente a Lugano, dove lavora in un ristorante in qualità di cuoco-cameriere, che nel corso degli anni sarebbe diventato il capo del gruppo toscano.