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'Ndrangheta a Cantù, richieste condanne per nove imputati

L'accusa ha chiesto 18 anni di carcere a Giuseppe Morabito, nipote omonimo del capo dei capi della 'ndrangheta in Lombardia

Ti-Press
2 aprile 2019
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Nessun sconto da parte di Sara Ombra, sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Milano nel processo a Como nei confronti di nove imputati accusati di associazione mafiosa. Al termine di una requisitoria andata avanti per tutta la giornata l'accusa ha chiesto condanne per oltre 113 anni complessivi. Insomma, un conto molto pesante quello consegnato ai nove imputati nel processo per il presunto controllo della 'ndrangheta sui locali pubblici del centro di Cantù.

La condanna più pesante (18 anni di carcere) è stata chiesta per Giuseppe Morabito, 32enne residente a Cantù. Nome e cognome che ricordano colui che per decenni è stato il capo dei capi della 'ndrangheta in Lombardia. E non è un caso di omonomia: Giuseppe Morabito junior è nipote del boss dei boss. Per il magistrato, l’aggravante del metodo mafioso è indiscutibile ed è fondamentale per spiegare quanto accaduto nel cuore di Cantù nei mesi successivi alla gambizzazione, il 10 ottobre del 2015, di Ludovico Muscatello, nipote del super boss Salvatore Muscatello di Mariano, a lungo capo della 'Lombarda', l'associazione della 'indrine lombarde, negli anni in cui aveva cercato di sganciarsi della casa madre calabrese. Coloro che hanno ferito Muscatello junior sono stati condannati in un precedente processo.

Sedici anni di carcere, invece, per Domenico Staiti, 46enne, e Rocco Depetris, 23 enne, entrambi di Cantù. Fra i 9 anni e 4 mesi e 12 anni le altre sei richieste di condanna. ''È evidente che c’era la paura persino a pronunciare alcuni nomi e alcune parole – ha sostenuto il pubblico ministero – Il fil rouge che tiene insieme tutto è l’omertà. È l’effetto didascalico del delitto mafioso, a generare paura e consenso”.

Nel mirino del magistrato antimafia le ritrattazioni, durante il processo, di numerosi testimoni: ''Abbiamo sentito in aula testimonianze inqualificabili. Episodi gravissimi e di violenza inaudita sono stati minimizzati, banalizzati e ridicolizzati. È un atteggiamento evidente di paura. Una paura motivata però dai fatti, dalle intimidazioni subite, dall’atteggiamento mafioso degli imputati''.

Si torna in aula martedì della prossima settimana con le arringhe difensive che continueranno il martedì successivo. La sentenza entro Pasqua. Anche nell'udienza di oggi, come in quelle precedenti, i parenti degli imputati hanno contestato l'accusa e urlato, quando sono giunte le richieste, parole molto pesanti nei confronti del presidente della commissione antimafia regionale Monica Forte. Quest'ultima si è allontanata con la scorta, così come il pm antimafia.