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Bourbon, razzismo e pollo fritto: l’America nella città di Ali

Louisville non ha mai avuto un sindaco afroamericano, ispanico o donna. Nel quartiere dove nacque il campione l’aspettativa di vita è di 10 anni più bassa

Un murale con Ali e la scritta ‘Black Lives Matter’
(R. Scarcella)
29 luglio 2024
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Mark Twain diceva: “Il giorno in cui il mondo dovesse finire, correrei in Kentucky, perché là stanno sempre vent’anni indietro”. Poi leggi Chris Offutt (uno dei nomi più in voga della letteratura americana à la Cormac McCarthy), che tra le colline e i paesini del Kentucky muove tutti i suoi personaggi, e pensi che Twain si fosse sbagliato per difetto, e che il Kentucky sia cent’anni indietro. Il Kentucky di Offutt sa tutto di legno, bourbon, silenzi, risentimento e codici d’onore che la gente fa di tutto per disonorare.

Quando arrivi nella capitale dello Stato, Louisville, è tutta un’altra faccenda, perché ti ritrovi indubbiamente nel presente, ma un presente che per definirsi tale deve convivere con il suo passato, celebrarlo costantemente, replicarlo ove possibile. Per capirci, tutto quello che rende oggi Louisville appetibile, desiderabile, ricca e famosa è successo ieri, se non l’altro ieri. Qui, nel 1875, c’è stato il primo Kentucky Derby, la corsa di cavalli più importante del mondo, che ancora oggi attira centinaia di migliaia di persone ogni anno (e il cui primo vincitore fu un fantino nero, Oliver Lewis, in sella al leggendario Aristides. Anche se poi le leggi razziali, di lì a poco, bloccarono la partecipazione di fantini afroamericani).

R. Scarcella
La statua di Barbaro, mitico cavallo del Kentucky Derby

A pochi chilometri da qui, nel 1952, nacque il Kentucky Fried Chicken (Kfc) del colonnello Sanders, la più importante catena di pollo fritto del pianeta; Louisville è anche la patria del bourbon e del cocktail mint julep (che si fa col bourbon), ma soprattutto la città natale di colui che è talmente grande da essere definito “The Greatest”, ovvero “Il più grande”, Muhammad Ali, nato Cassius Clay il 17 gennaio del 1942, nel quartiere di Parkland. Ali, a Louisville, è così grande che si ingoia tutto il resto. E te ne accorgi appena atterri, quando vedi l’enorme logo dell’aeroporto cittadino, una sagoma di Ali con i pugni alzati in segno di vittoria (e uno sfondo stilizzato che ricorda una farfalla, protagonista di una delle sue frasi più celebri “Vola come una farfalla, pungi come un’ape”).

‘The Greatest” a 8 bit

In centro è tutto un florilegio di souvenir, poster e murales dedicati ad Ali. E l’hotel più chic, il Brown, ha la suite più lussuosa che porta il suo nome. Anche i grandi drappi appesi nelle vie principali, che celebrano le eccellenze locali, hanno una predilezione per il pugile, che compare più spesso di tutti con sotto l’immancabile scritta “The Greatest”. Il museo dedicato al campione sa coinvolgerti mantenendosi in equilibrio sul sottile filo dell’americanata, senza mai davvero cadere nella baracconata. La struttura, a due passi dal fiume Ohio, è un altro Made in Usa ben riuscito, con una facciata che gioca con l’estetica anni 80 delle immagini a 8 bit (quelle da vecchia sala giochi o da Commodore 64): da vicino è un insieme di mattoni colorati che sembra un Tetris sregolato, più ti allontani e più capisci che si stanno componendo varie immagini di Ali sul ring.


R. Scarcella
Il museo dedicato ad Ali visto da fuori

Poco più in là c’è un altro orgoglio locale: è la Louisville Slugger, la mazza da baseball più amata dai campioni, basti pensare che l’80% dei battitori entrati nella Hall of Fame usavano questa mazza, tra cui il leggendario Babe Ruth, Lou Gehrig (una delle sue Louisville Slugger fu venduta tre anni fa per 715mila dollari) e Joe DiMaggio. Fuori dalla fabbrica-museo, “appoggiata” all’edificio, c’è la mazza da baseball più grande del mondo: gli americani ovviamente diventano matti appena la vedono.

Come ogni città che prova a reinventarsi col turismo, Louisville valorizza i suoi punti forti, a partire dal bourbon con tour delle distillerie a ogni ora (alcuni durano giorni) e degustazioni a ogni angolo. Il pollo fritto vive di vita propria ormai, a prescindere dal gigantismo di Kfc: ognuno ha la sua ricetta, ognuno i suoi seguaci. Niente fa più litigare gli abitanti di Louisville del posto con il miglior pollo fritto (consiglio personale: Royals Hot Chicken). Le varianti piccanti, come da tradizione, sono talmente forti che gli ultimi livelli vengono sconsigliati perfino da chi li vende (te lo scrivono proprio sul menù e la frase è sempre più o meno cosi: “Ce l’abbiamo, ma fossi in te lasceremmo perdere”). C’è perfino chi tiene apposta il latte freddo a portata solo perché è l’unico modo di placare le fiamme nella bocca del malcapitato di turno.


R. Scarcella
Pollo fritto al Royals Hot Chicken di Louisville

I dannati di Parkland

Ma tornando ad Ali, un tour non può essere completo senza una visita nella casa in cui è cresciuto e alla tomba in cui è sepolto, in uno dei quei cimiteri che solo in America, in cui passeggeresti per ore. Io l’ho fatto, ripagato, a poche decine di metri di distanza dalla tomba di Ali da una lapide che sembra uno scherzo del destino, con su scritto Frazier: non Joe, il grande pugile e grande rivale di Ali, sepolto in Virginia, ma un altro Frazier, chissà chi. Il luogo in cui riposa Ali è solenne, ma non pacchiano, su un piccolo rialzo del terreno e una catenella a proteggere i troppo curiosi, con l’unica nota stonata della scritta sulla lapide, in stile ricetta, che fa un po’ bacheca da boomer su Facebook: “Prese due dosi di amore, un cucchiaino di felicità e uno di generosità, due manciate di risate…”. Una cosa così.

Più interessante la casa in cui è nato, tutta rosa, ristrutturata qualche anno fa e adibita a museo quasi sempre chiuso. Si trova nella zona est della città, a Parkland, quartiere a stragrande maggioranza nera e povera. A Parkland, oggi, non quando nacque Ali, l’aspettativa di vita è di dieci anni più bassa rispetto ai quartieri popolati dai bianchi.


R. Scarcella
In visita nella casa dove Ali ha passato l’infanzia

Sul prato, a sbirciare dalle finestre ci sono solo famiglie numerose e afroamericane, scendono dalle loro auto, si fanno fotografare felici e commossi insieme. Gli anziani spiegano, i bambini ascoltano con l’aria di chi sa che sta ascoltando qualcosa di importante.

Le strade attorno sembrano sicure in una caldissima mattinata estiva, ma basta vedere i cartelli agli angoli delle strade per capire che Parkland è rimasta indietro: “Think, Think, Think before you shoot” (“Pensa, pensa, pensa prima di sparare”) e ancora “I want to live, how about you? Don’t shoot” (“Io voglio vivere, e tu? Non sparare”), con una lunga arteria a fare da confine con i luoghi dove la gente vive più a lungo piena di murales con tutti i simboli dell’America nera, da Angela Davis a Smith e Carlos alle Olimpiadi di città del Messico, da Martin Luther King a Sidney Poitier. Due anni fa, qui, un ragazzo afroamericano di 21 anni ha sparato al candidato sindaco dei democratici Craig Greenberg, sopravvissuto e poi eletto. Tuttavia Louisville rimane una delle due città (l’altra è Indianapolis) tra le 50 più popolose d’America a non aver mai avuto come sindaco un afroamericano, un ispanico o una donna.


R. Scarcella
‘Pensa, pensa, pensa prima di sparare’

Tanti auguri a te

Quando lascio Louisville lo faccio con un Greyhound, i grandi autobus che hanno fatto l’America e che ancora oggi sono il mezzo più usato dalla gente comune. Arrivo trafelato a pochi minuti dall’orario di partenza, ma il bus è fermo, chiedo e mi sento rispondere: “L’autista è sceso, gli abbiamo chiesto a che ora ripartiva e lui ha risposto che prima se ne andava a casa mangiare e gli altri aspettassero”. Abbiamo aspettato. Quando partiamo, destinazione Nashville, il bus ha quasi due ore di ritardo, ma l’autista non ha nessuna fretta. Nessuno sa spiegarci davvero perché non siamo già quasi dove dovremmo essere. Qualche ora dopo la Greyhound mi manda una mail di accorate scuse e un codice sconto nel frattempo già scaduto.

Anche questa è America. Talmente America che a Louisville hanno inventato persino una cosa più grande di Ali, la canzone più famosa del mondo: “Happy Birthday To You”.


R. Scarcella
La Belle of Louisville sul fiume Ohio