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Uomini e asini, il mondo visto dalla Valle della Morte

Beatty è una piccola comunità del Nevada: meno di 600 abitanti e quasi altrettanti asini. Un luogo dove nemmeno la legge di gravità sembra la stessa

Benvenuti a Beatty, porta d’ingresso della Valle della Morte
(R. Scarcella)
8 aprile 2024
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Beatty è una piccola comunità formata da quasi 600 corpi. Quante siano le anime non è dato saperlo. Non è un giudizio morale, ma una sensazione epidermica osservando la gente di questa cittadina del Nevada, l’ultima che si incrocia prima di entrare nella Valle della Morte: c’è una forma di pesantezza nel loro passo, nei loro gesti e nei loro abiti che ti rimanda a quelle reminiscenze scolastiche per cui su un qualche altro pianeta, con un’altra gravità, peseremmo il doppio, il triplo, il quadruplo. Beatty ha tutta l’aria di essere uno di questi pianeti alieni, e in parte lo è, visto che basta allontanarsi poche centinaia di metri dal centro per ritrovarsi in quel paesaggio lunare che contraddistingue la Valle della Morte, uno dei deserti più deserti che esistano.

Forse per resistere qui bisogna diventare così, svuotandosi un po’ lo spirito per dare più consistenza alla materia, chissà. Qualcosa che ti mangia dentro deve pur esserci se appena otto anni fa qui vivevano oltre 1’000 persone e ora ne sono rimaste la metà.


R. Scarcella
Pompa di benzina sulla strada per Beatty

Per cosa si litiga

Sono poco meno gli asini selvatici, o meglio i “burros”, come li chiamano loro, alla spagnola: circa 400. Li vedi scorrazzare per la città in piccoli gruppetti, agli incroci, fuori dai saloon e nei cortili delle case. Proprio gli asini sono diventati uno dei grandi dibattiti locali, perché per alcuni sono troppi e vanno ridotti di numero, anche sparandogli, perché no, siamo pur sempre nel Far West. Sei anni fa ne spostarono già 400. Poco dopo, come se non bastasse, ne trovarono altri 13 impallinati nel deserto.

Per i detrattori gli asini tirano giù le staccionate, rovistano nella spazzatura gettandola poi in strada, danneggiano le auto e fanno rumore quando lottano tra loro nelle vie cittadine. Non è raro che vengano coinvolti in incidenti sulla Highway 95, la grande strada che collega Beatty a Las Vegas e quindi al suo contrario.

Ma c’è anche il partito di chi li difende, capeggiato da Fred Summers, il proprietario dell’Happy Burro Chili&Beer, un locale che sembra davvero uscito da un western moderno. Summers ha anche distribuito un volantino dove ha messo nero su bianco i motivi per cui i “burros” devono restare: “Attraggono i turisti, regolano il traffico, tengono lontani dalla città coyote e serpenti a sonagli”. E non ultimo, “di tutti gli asini che vivono in questa città, loro sono i più intelligenti”.


R. Scarcella
Il Sourdough Saloon di Beatty

Una volta a Beatty si correva anche una celebre gara che attraeva spettatori da tutto il mondo. Quella del 1971 fu immortalata da un lungo reportage uscito nel 1972 su Playboy che ebbe rilevanza nazionale. L’anno dopo venne così tanta gente, e così tanta gente poco raccomandabile, che a Beatty pensarono bene che la gara potesse finire lì una volta per tutte.

Da quest’avamposto strappato al deserto, dove si discute di asini, tutta la macropolitica delle guerre globali e tutti i dibattiti sul politicamente corretto sembrano veramente lontani. Alle presidenziali di quattro anni fa, a Beatty e nel resto della contea di Nye, ha stravinto Trump, con oltre 40 punti di vantaggio su Biden, in totale controtendenza con lo Stato del Nevada, in cui il democratico ha battuto il Tycoon di due punti e mezzo.


R. Scarcella
Il Desert Inn, motel abbandonato

Trumpiani di ferro

A Beatty si tifa Trump, si scende in strada per Trump e si celebra la venuta del figlio Eric sul giornale locale (il Pahrump Valley Times) come l’arrivo di un messia. Capire questa adorazione fin nel profondo è difficile, come allo stesso tempo è facile immaginarsi il vecchio Donald a passeggio per Beatty, facilissimo immaginarselo sceriffo. Sembra uno di loro, quello capace di dirimere la questione degli asini alla vecchia maniera, in un senso o nell’altro, e forse tanto basta.

La sera la gente di Beatty sembra si sia data tutta appuntamento nel giardino dell’Happy Burro, ci sono i cappelli da cowboy e la musica dei Daft Punk, a ricordarci che questo posto resta comunque collegato col resto del mondo. Esattamente dall’altro lato della strada, gli asini si sono riuniti attorno alle pompe di benzina della stazione di servizio. I turisti li fotografano e li accarezzano, i locali li ignorano come si fa con un concittadino incontrato per la decima volta nell’arco della giornata.


R. Scarcella
Asini selvatici in giro per Beatty

La città fantasma

L’anima di Beatty sembra aver traslocato in massa nella vicina città fantasma di Rhyolite dove non c’è più niente se non case diroccate, silenzio e una strana opera dell’artista Albert Szukalski che vorrebbe essere una riedizione desertica dell’Ultima Cena di Leonardo: il tavolo però non c’è, la cena neanche e al posto dei commensali ci sono delle simil-lenzuola, come quelle dei fantasmi dei fumetti. Vince l’assenza, l’esatto contrario di Beatty, dove tutto deve essere visto, pesato, toccato.

Il giorno dopo mi sveglio per fare colazione nel mitico Mel’s Diner, una specie di riassunto di tutti locali e di tutte le colazioni viste e immaginate dell’America on the road. Nonostante ci sia tanto spazio all’esterno e nessuna riga per terra che indichi dove e come parcheggiare, Mel (o chi per lui) esce e mi fa spostare l’auto due volte prima che vada bene. Ancora devo capire quale fosse il problema. I suoi modi sono tanto burberi quanto deliziosi quelli delle cameriere.


R. Scarcella
Iscrizione al ‘Chili contest’

Poco più tardi e poco in là, la gente di Beatty si trasferisce su un grande prato verde dove si tiene una doppia sfida, quella del chili più buono (a cui partecipano concorrenti che arrivano da altri Stati) e quella delle auto d’epoca. Per votare il tuo chili preferito devi pagare una piccola quota, poi ti vengono dati una penna e un taccuino con cui votare il chili verde e quello rosso. Quando è il tuo turno ti danno una tazza della stessa dimensione per tutti. Il regolamento è lungo per i giurati improvvisati, lunghissimo per i cuochi, per cui la squalifica pare sempre dietro l’angolo. Sembra una cosa maledettamente seria. A Beatty, insomma, non si sgarra nemmeno sul chili. Anche questa è America, o forse soprattutto questa.


R. Scarcella
‘The Last Supper’, un’Ultima Cena desertica