Breve biografia incrociata di Carpentier e Frazier, due fra i più leggendari pesi massimi della storia del ring, entrambi venuti al mondo il 12 gennaio
Se nasci povero alla fine dell’Ottocento in un sobborgo di Lens, Francia del nord a due passi dal Belgio, con ogni probabilità a finirai a giocarti i polmoni in miniera – come tuo fratello maggiore e come molti dei tuoi antenati – o al massimo imparerai a impilare barili in una fabbrica di birra, come tuo padre.
Ma se ti piace fare a botte, come nel caso di Georges Carpentier – venuto al mondo il 12 gennaio di 130 anni fa – puoi anche sperare di sfuggire a un destino che pare già segnato e diventare campione del mondo dei pesi mediomassimi e, magari, puntare alla corona dei massimi.
Se invece nasci povero e nero nella Carolina del Sud il 12 gennaio di 80 anni fa come Joe William Frazier – e i tuoi genitori coltivano verdure e allevano un maiale per sopravvivere e racimolano pochi dollari per vestiti e medicine andando a lavorare i campi dei bianchi – puoi sperare al massimo che un giorno i maiali diventino due.
Ma se ascoltando la radio nel bar del villaggio ti innamori delle gesta di Sugar Ray Robinson e Rocky Marciano – e poi cominci a sparare ganci e diretti sinistri a un sacco di yuta che hai riempito di pannocchie e mattoni incurante se i tuoi 12 fratelli ti prendono per i fondelli – allora puoi pure tu immaginare che un giorno abbandonerai il sud segregato per andartene al nord a combattere per la cintura dei massimi.
Georges era un biondino dai tratti gentili ma, come detto, dal pugno facile. Un giorno, scambiando gentilezze addirittura contro quattro rivali, rischia di farsi ammazzare su un marciapiede cosparso di polvere di carbone. A salvarlo è un passante chiamato François Descamps, che riesce a mettere in fuga il quartetto.
Se ti piace così tanto farti menare – dice a Carpentier – vieni da me in palestra, ti insegnerò a tirare come un pugile. Il tredicenne lo prende in parola, inizia con la boxe francese e, nemmeno un anno dopo, diventa campione del mondo dei dilettanti in quella specialità che prevede, oltre ai pugni, anche i calci.
Quando compie 17 anni, Joe si stufa della vanga, intasca la sua ultima paga da bracciante e, davvero, prende la corriera per il nord. Sbarca a Filadelfia, chiede dove si trova il ring più vicino e mostra all’ex pugile Yank Durham ciò che ha imparato nei cinque anni in cui si è spaccato le mani picchiando sul suo rudimentale sacco.
Durham resta impressionato, vede che c’è del potenziale, insegna al ragazzo tutto ciò che non ha potuto imparare da solo e poi decide di farlo combattere. Infilandogli il paradenti in bocca, gli dice: «Fa’ uscire il fumo da quei guanti. Tu puoi fare fumo, ragazzo, basta che non molli». E fu così che Frazier divenne ‘Smokin’ Joe’, mentre Durham rimase suo manager fino alla morte, sopraggiunta nel 1973.
Per tirar su qualche franco, Descamps ingaggia ragazzi e li fa combattere nelle fiere di paese, dove organizza pure spettacoli di magia. Carpentier, che ormai lo considera come uno zio, lo segue ovunque e boxa con avversari reclutati fra il pubblico, assiste gli illusionisti e finge di farsi ipnotizzare.
Tolto il necessario per pane e companatico, in tasca gli resta il necessario per continuare ad allenarsi per poter finalmente debuttare nel pugilato vero, quello in cui si usano soltanto le mani.
Esordisce quindicenne e sconfigge l’inglese Ed Salmon, che di anni ne ha ventiquattro. Sarebbe un mosca, ma quella categoria ancora non esiste, così combatte come gallo, concedendo agli avversari chili e centimetri, ma poco importa, perché li manda tutto al tappeto.
Nel giro di tre anni, diventa campione francese ed europeo di tutte le categorie, ritrovandosi, ancor prima di compiere diciotto anni, in possesso della corona dei mediomassimi e dei massimi leggeri.
Grazie all’intelligenza e a una tattica per l’epoca all’avanguardia, Georges – malgrado sia spesso fisicamente messo peggio dei rivali – manterrà il suo bel viso intatto fino al termine della carriera: niente cicatrici sul volto, niente naso piatto e spaccato tipico di tutti i pugili.
Da dilettante, Frazier vince un paio di volte i Middle Atlantic Golden Gloves nei massimi, ma viene purtroppo sconfitto nella finale del torneo che designerà il rappresentante statunitense alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Alla vigilia dei Giochi, però, il vincitore si fa male, e così a volare in Giappone è proprio Joe, che si sbarazza di un ugandese, di un australiano, di un sovietico e di un tedesco occidentale, mettendosi al collo la medaglia d’oro quando ha compiuto vent’anni da pochi mesi.
Rientrato negli Usa – dopo aver vinto 34 dei 38 match amatoriali disputati – decide di passare professionista, e pure negli incontri a torso nudo inizia a buttar giù con facilità ogni avversario, compreso l’argentino Oscar ‘Ringo’ Bonavena, fra i migliori pugili della sua epoca e provvisto di una biografia da romanzo che un giorno forse proveremo a raccontare.
Il sogno di Joe è incontrare Clay e strappargli il titolo mondiale, ma purtroppo il campione – nel frattempo diventato Ali – viene incarcerato e privato della corona a causa della renitenza alla leva. Il titolo, ormai vacante, viene messo in palio a New York il 4 marzo del 1968, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Madison Square Garden, come sottoclou della terza sfida fra Griffith e Benvenuti.
Davanti a quasi 20mila spettatori, Smokin’ Joe sconfigge Buster Mathis e conquista la cintura mondiale dei massimi: l’appuntamento con Muhammad Ali, ad ogni modo, è solo rimandato.
Col primo conflitto mondiale, ovviamente, ogni cosa si ferma, compresa l’attività pugilistica. Georges Carpentier, che non ha studiato ma è molto sveglio, diventa pilota d’aereo ed è proprio in volo che combatterà per la Francia.
Ferito in combattimento e decorato con la Croce di guerra, passerà gli ultimi mesi lontano dal fronte, dove può riprendere ad allenarsi e, sempre affiancato dal fedele Descamps, pianifica l’assalto a un titolo mondiale, impresa che andrà compiuta negli Stati Uniti.
Attraversato l’Atlantico, dapprima fa sua la corona dei mediomassimi sbarazzandosi al quarto round di Bob Levinski, e poi comincia ad allenarsi per la corona ben più prestigiosa dei pesi massimi, che a quel tempo appartiene saldamente al leggendario Jack Dempsey, il Massacratore di Manassa.
Per la Guerra del Vietnam, invece, non si ferma praticamente nulla, tranne come detto la carriera di Ali, che al fronte rifiuta di andare. E così Frazier difende vittoriosamente una manciata di volte il suo titolo nei massimi e, en passant, fa sua pure la cintura dei mediomassimi.
Finché finalmente, nel 1971, può incrociare i guanti con Muhammad Ali, che lui continua a chiamare Cassius Clay, facendolo arrabbiare di brutto e facendogli dire che Joe «...è soltanto uno Zio Tom, un negro ancora schiavo dei bianchi».
Il match fra i due pugili ancora imbattuti si disputò, di nuovo al Garden, l’8 marzo e Frazier – nettamente superiore - si impose alla fine ai punti con verdetto unanime.
La sfida con Dempsey, primo incontro della storia a mettere in palio 1 milione di dollari all’epoca in cui un operaio non arrivava a mille verdoni all’anno, andò in scena il 2 luglio del 1921 a Jersey City davanti a una folla straripante. Più agile ed elegante, il francese condusse le danze per i primi due round, colpendo duro più volte l’americano e facendolo vacillare.
Dopo un diretto di travertino al volto di Dempsey, Carpentier ebbe pure l’occasione per finirlo, ma incredibilmente non doppiò il colpo, perché portando la prima bordata si era fratturato il pollice. Col destro fuori uso, Georges non poté che limitare i danni, cercando di schivare più a lungo possibile gli attacchi del rivale, ma al quarto round stramazzò sull’assito insieme al suo sogno di conquistare il mondiale dei massimi.
Sconfitto in seguito anche da Gene Tunney, abbandonò il ring e divenne attore di cinema e vaudeville e finì i suoi giorni nel 1975, a 81 anni.
Dopo il successo contro Ali, Frazier difese la cintura in un paio di match facili contro mestieranti semisconosciuti, ma appena si ritrovò davanti un avversario vero, cioè il campione olimpico del 1968 George Foreman, venne travolto dalla terrificante potenza del rivale e conobbe per la prima volta l’amaro sapore della sconfitta.
Sul ring di Kingston, Giamaica, Smokin’ Joe finì al tappeto ben sei volte nel corso delle prime due riprese, finché l’arbitro ebbe pietà di lui e saggiamente decretò il successo dello sfidante.
Ancor più dolore – e non solo fisico – provocarono a Frazier due ulteriori sconfitte, subite entrambe da Ali. La prima, consumatasi di nuovo nella Grande mela nel gennaio del ‘74 con successo di Muhamad ai punti, fu preceduta da un incidente verbale verificatosi negli studi televisivi della Abc che per poco non sfociò in uno scontro fisico fra i due contendenti.
La seconda si verificò invece nelle Filippine l’anno successivo: parliamo del celeberrimo ’Thrilla in Manila‘, sfida considerata da molti esperti come il miglior match fra pesi massimi dell’intera storia del pugilato, per l’enorme intensità e per lo sfoggio di tecnica da parte di entrambi i boxeur.
Joe e Ali se le diedero di santa ragione finché, poco prima dell’inizio del 15° e ultimo round, Eddie Futch – il nuovo allenatore di Frazier – gettò la spugna quando si accorse che il suo pugile era praticamente accecato. Smokin’ Joe se ne andò nel 2011, a 67 anni, per colpa di un tumore al fegato.