A seguito dell’irrigidimento delle politiche monetarie, gli indicatori anticipatori dell’attività economica (curve dei tassi, fiducia delle imprese e dei consumatori, aggregati monetari e di credito) preannunciano un raffreddamento della congiuntura, in Europa e negli Stati Uniti. L’investitore azionario deve inquietarsene? I mercati azionari tendono a soffrire quando l’attività economica si contrae e gli utili delle imprese scendono. Il messaggio degli economisti è rassicurante. Prevedono nel complesso solo un rallentamento della crescita. Le ultime quattro recessioni che hanno colpito le economie sviluppate (1990, 2001, 2008 e 2020) hanno però visto il consenso delle previsioni macroeconomiche mancare di affidabilità. Sarà il caso anche questa volta? Pure erroneo sarebbe ritenere che le indicazioni degli indicatori anticipatori debbano essere seguite da una recessione sotto forma di una sorta di media dei precedenti storici. Le differenze nelle condizioni e nelle circostanze sono infatti considerevoli: prima guerra del Golfo, bolla internet, crisi immobiliare e finanziaria, pandemia. È quindi necessario procedere a un esame dei singoli casi. Oggi, il settore privato gode di buona salute. La situazione patrimoniale delle famiglie delle imprese è nell’insieme sana. La redditività delle imprese è elevata. Il settore privato dovrebbe quindi resistere allo shock delle politiche monetarie restrittive senza avviare le reazioni a catena tipiche delle recessioni profonde: riduzioni aggressive dell’impiego per proteggere la redditività, calo dei consumi e peggioramento delle condizioni di finanziamento per le imprese. Una fase di stagnazione dell’attività o una lieve flessione dell’attività non distruggono durevolmente le prospettive di crescita delle imprese. I multipli dei mercati azionari non sono quindi destinati a contrarsi. L’investitore azionario potrà contare su un rischio al ribasso limitato.