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Dallo scorso autunno, molti indicatori anticipatori dell’attività economica sono migliorati, negli Stati Uniti e in Europa. Nell’insieme, la fiducia dei consumatori, il sentimento delle imprese e gli indicatori di stress finanziario non preannunciano più condizioni recessive come alcuni mesi fa, solo una fase di stagnazione dell’attività. La recessione che era attesa quest’anno non avrà quindi verosimilmente luogo. Questo sviluppo a prima vista positivo complica però il compito delle banche centrali. I mercati del lavoro rimarranno infatti in condizioni di tensione incompatibili con il deflusso dell’inflazione verso gli obiettivi. La buona notizia sul fronte dell’attività condurrà allora a un supplemento di restrizione monetaria nel corso del 2023, ovvero a tassi d’interesse ancor più alti. L’inflazione non sfuggirà di mano il prossimo anno, ma una fase di contrazione dell’economia non potrà invece essere evitata. La prospettiva che la recessione sia solo posticipata al 2024 deve allarmare l’investitore azionario? Non ne siamo convinti nelle condizioni attuali. La soluzione del problema dell’inflazione richiede la risposta adeguata delle banche centrali e una breve ma difficilmente evitabile fase di contrazione dell’attività. Marcherà la fine di un periodo d’instabilità di attività e prezzi iniziato con la pandemia e aprirà la via a una ripresa duratura dell’economia. Fatichiamo quindi a immaginare forti ribassi dei mercati azionari. Come le attese sugli utili delle società quotate non paiono ancora a prova di contrazione, pure fatichiamo per ora a vedere grossi spazi al rialzo. Lo scenario che l’investitore azionario deve temere è invece un altro, quello caratterizzato da errori ripetuti di politica monetaria, inflazione in ri-accelerazione o fuori controllo. Poco probabile oggi, sarebbe però distruttivo per i mercati azionari, in quanto danneggerebbe durevolmente le economie sviluppate.