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‘Il male non esiste’ e il tempo della natura

Ryusuke Hamaguchi sfida il ritmo della modernità con un film che è una meditazione sul rapporto tra uomo e ambiente

‘Il male non esiste’ di Ryusuke Hamaguchi
2 gennaio 2025
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‘Il male non esiste’ di Ryusuke Hamaguchi non è un film che si possa guardare distrattamente. Ma non è solo una questione di attenzione e neanche di pazienza: è piuttosto la disponibilità a entrare in una narrazione lenta e contemplativa, a una storia che prende direzioni inaspettate e disorientanti, lasciando chi guarda con più domande che risposte. Non stupisce scoprire, dalle note di regia, che il film è nato come progetto visivo per accompagnare le performance dal vivo della musicista Eiko Ishibashi, che aveva già collaborato con Ryusuke Hamaguchi per la colonna sonora del pluripremiato ‘Drive My Car’. Da questo esperimento si è poi arrivati a un vero e proprio lungometraggio che ha conquistato il Leone d'Argento alla Mostra del cinema di Venezia nel 2023 (e proviamo a considerare il ritardo con cui il film arriva nelle sale ticinesi come parte di questa narrazione lenta e contemplativa).

‘Il male non esiste’ si svolge in un villaggio rurale non lontano da Tokyo, dove il tuttofare Takumi vive con la giovane figlia Hana. La loro esistenza scorre, appunto, tranquilla: lui taglia legna, raccoglie acqua di sorgente per un ristorante locale di soba (un piatto tradizionale giapponese a base di pasta), mentre la bambina impara a riconoscere gli alberi e le piante del bosco. Questa pace viene interrotta quando un'agenzia di spettacolo decide di costruire nella zona un "glamping", un camping di lusso (il termine unisce le parole “camping” e “glamour”) che è una fuga nella natura ma con le comodità della città. Un progetto che, agli occhi della piccola comunità, non tiene conto delle caratteristiche del territorio, dai sentieri seguiti dagli animali per abbeverarsi al rischio di incendi e di inquinamento delle sorgenti d’acqua.

A prima vista, potrebbe sembrare la classica storia ambientalista che contrappone gli abitanti di un villaggio a una azienda che ha fretta di iniziare il cantiere per assicurarsi importanti sussidi pubblici e che vede il coinvolgimento della popolazione del posto come una semplice formalità. Uno dei momenti di svolta del film è proprio l'assemblea cittadina in cui due rappresentanti dell'azienda presentano il progetto: gli abitanti sollevano preoccupazioni concrete alle quali i rappresentanti dell'azienda, armati di slide e presentazioni patinate, sembrano del tutto impreparati a rispondere. La scena dell'assemblea è costruita come una partitura musicale, con momenti di dialogo serrato e silenzi. I rappresentanti dell'azienda non sono dipinti malvagi – del resto “il male non esiste” –, ma semplicemente come persone che fanno parte di un sistema nel quale non necessariamente si identificano. Uno di loro arriva persino a fantasticare di abbandonare la vita cittadina per trasferirsi in campagna.

Il film è costruito su lunghe sequenze contemplative, con la macchina da presa che si muove con pazienza attraverso il paesaggio, spesso con inquadrature dal basso che sembrano voler catturare la prospettiva della terra stessa. Le musiche di Ishibashi sono più di una semplice colonna sonora, ma si intrecciano con scene diventando quasi un personaggio, con improvvise interruzioni che sottolineano i momenti di tensione e anticipano gli sviluppi futuri della storia.

È proprio questa sofisticata costruzione che permette di andare oltre la classica, e apparentemente banale, storia ambientalista costruita intorno all’idea di una natura incontaminata da preservare. Takumi, sempre durante l’assemblea, ricorda che tutti loro sono in qualche modo “estranei”: i suoi nonni si sono stabiliti nella zona solo dopo la Seconda guerra mondiale come parte di un piano del governo per sviluppare l'agricoltura in quella regione, un progetto probabilmente non troppo lontano da quello del “glamping”. La differenza sta forse nella disponibilità e nella pazienza di costruire un equilibrio con quello che ci circonda, cosa che non è possibile se c’è un cantiere da avviare prima dello scadere dei termini per ottenere i finanziamenti.

Il vero messaggio ecologista di ‘Il male non esiste’ è appunto questo: bisogna prendersi il tempo necessario, per costruire qualcosa. Il che vale per una struttura turistica o per un film dal ritmo lento e dalle lunghe inquadrature di boschi e corsi d’acqua.

Che cosa funziona? La regia di Hamaguchi e il suo dialogo con le musiche di Ishibashi.
Che cosa non funziona? Il finale, per quanto a suo modo coerente, è forse troppo “troppo”.
Perché vederlo? Per prendersi una pausa.
Perché non vederlo? Perché ci si aspetta, dopo tante domande, almeno un abbozzo di risposta.