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‘Tracce’ di Arnaboldi lunghe trentacinque anni

Ripercorriamo insieme alla fondatrice la lunga storia della Compagnia, da celebrarsi il 29 novembre nella Sala Teatro del Lac con spettacolo ad hoc

Tiziana Arnaboldi
(Ti-Press)
27 novembre 2024
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La sinossi: “Tracce di gesti e suoni. Accenni di viaggi e memorie cantate da corpi in un’atmosfera di sospensione e fragilità”. Con ‘Tracce’, la danzatrice, coreografa e regista ticinese Tiziana Arnaboldi festeggia i trentacinque anni della sua Compagnia. Il Lac, venerdì alle 20.30, sul palco della Sala Teatro, la vedrà dirigere Letizia Caimi, Marta Ciappina, Eleonora Chiocchini, Francesco Colaleo, Maxime Freixas, Lucie-Lou Grec, Justine Tourillon, Francesca Zaccaria, divisi tra una prima parte dal carattere sperimentale, col movimento suggerito dalle note di Gyorgy Ligeti – al pianoforte, Gabriele Leporatti, ‘di casa’ nel Teatro San Materno di cui Arnaboldi è direttrice – e una seconda più onirica e profonda.

Tiziana Arnaboldi, prima di addentrarci nello spettacolo: un bilancio di questi trentacinque anni?

È stato un viaggio inimmaginabile, iniziato tanto tempo fa. Lavoravo molto come danzatrice sia a Parigi che a Zurigo. L’idea era quella di restare, ma aspettavo il mio primo figlio e sono dovuta rientrare nella Svizzera italiana. All’inizio andavo avanti e indietro da Zurigo, poi ho deciso di insegnare qui in Ticino, senza mai abbandonare l’idea di fondare una mia Compagnia. Decisivi sono stati gli amici Gunda e Dimitri, che un bel giorno mi chiesero se avessi voluto realizzare una coreografia con gli allievi del terzo anno dell’Accademia; pensai a uno spettacolo incentrato sulle ‘Città invisibili’ di Italo Calvino, e la città era quella di Valdrada. Il successo di quella coreografia rafforzò in me l’idea di essere coreografa, così iniziai a fare audizioni, qui, in Francia, in Germania, in Norvegia, ed è iniziato il mio percorso. La mia Compagnia mi ha portata a fare tanti spettacoli come danzatrice insieme a mio marito attore, fondendo danza e recitazione. Bellissima è stata l’esperienza con il grande regista e attore parigino Pierre Billon, che mi ha insegnato a parlare, a ridere, a gridare sulla scena, una cosa molto affascinante. Mai avrei pensato di essere dove sono, trentacinque anni dopo.

Nel 2009 è arrivato il Teatro San Materno, di cui è direttrice, a dare uno spazio, una casa a quanto fatto fino a quel momento...

Sì, ma senza mai cercarla. Quando il sindaco di Ascona Luca Pissoglio mi ha chiesto di occuparmene, io gli ho risposto che si trovava di fronte a un’anarchica (ride, ndr), che non ama essere controllata dalla politica. Per i primi cinque anni ho chiesto aiuto a qualcuno che conoscesse il mestiere: con Domenico Lucchini abbiamo lavorato insieme fino a che lui non è diventato direttore del Cisa di Locarno, e come i bambini che a un certo punto crescono, sono riuscita a camminare da sola. Il bello del San Materno è che il mio lavoro e quello del teatro possono viaggiare insieme: ho creato dialoghi tra le arti, la Compagnia Giovani, e ho vinto la paura di perdere il mio lavoro principale per constatare che, al contrario, il lavoro principale si è intensificato: all’interno di quel teatro posso allenarmi, posso provare quando voglio, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e mi rendo conto di quanto il mio sia un lusso.

E arriviamo al festeggiamento di questi trentacinque anni nella Sala Teatro del Lac: ‘Tracce’ nasce appositamente per questo centro culturale?

‘Tracce’ è uno spettacolo nuovo, ma al suo interno contiene elementi che arrivano da altri spettacoli, riformulati per intero con l’intenzione che questo lavoro possa rappresentare in pieno la mia filosofia del ruolo del danzatore. Al di là del guidarli in una coreografia, ho sempre chiesto ai danzatori di esternare la loro esigenza dei gesti, ho cercato che il gesto venisse da loro per entrare nel valore di ogni corpo. A volte ce ne dimentichiamo, ma siamo unici, abbiamo un nostro modo di parlare, di muoverci e io lavoro tanto su questo aspetto. Sulla scena, ognuno porta la sua personalità e la sua esperienza. Quello di ‘Tracce’ è una sorta di gioco solenne, un rito, per incontrare lo specifico di ogni interprete e arrivare infine alla danza del gruppo, che si svela come entità libera, in perenne divenire, in cambiamento costante.

In ‘Tracce’ si danza su musiche di Gyorgy Ligeti. Ci spiega la scelta?

Ligeti era tra gli amici di Charlotte Bara, l’ennesimo nome che la grande danzatrice continua a regalarmi. Ho voluto approfondire la sua figura insieme al pianista Gabriele Leporatti, con il quale lavoro da anni; abbiamo studiato l’architettura musicale di Ligeti, per creare un momento in cui il corpo si appropriasse di una singola nota, concetto che arriva dalla sua ricerca ‘Da 1 a 12 note’. Questo per quanto riguarda la prima parte di ‘Tracce’. Nella seconda, per il loro costante lottare contro la forza di gravità, ho voluto i corpi dei danzatori senza peso, a creare forme, gesti sfuggenti, velocità diverse, fino al momento in cui si sollevano nella posizione eretta, da cui scaturiscono contatti e altri movimenti, che potranno anche sorprendere. ‘Tracce’ è una ricerca di unicità del nostro corpo, è la profondità contrapposta all’esteriorità, da portare verso chi guarda.

Il Teatro San Materno, la cui programmazione autunnale è stata affidata a Stefania Mariani, torna nelle sue mani dalla prossima stagione. Cosa ci aspetta?

Posso dire che ci sarà molta danza, con tanti giovani, sia locali che internazionali. La danza sarà la regina della programmazione.