A colloquio con Giuliana Musso, che questa sera e domani al Teatro di Locarno porta in scena ‘Dentro’, l’occultamento di una violenza familiare
«Basta con la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne. Non è un nome, è un trucco. Non nomina nulla, non dice nulla. Perché non la chiamiamo la Giornata contro la Violenza degli Uomini sulle Donne? Perché non nominiamo chi è il carnefice?». Giuliana Musso, autrice, regista e tra le più intense autrici-performer del teatro d’inchiesta, non entra in scena con guanti di velluto. Stasera e domani alle 20.30, accompagnata da Maria Ariis, porterà ‘Dentro. Una storia vera, se volete’ al Teatro di Locarno, patrocinato dallo Zonta Club per una ricorrenza che l’autrice si rifiuta di accettare, trovandola diluita in termini eufemistici che non nominano davvero il problema. «Non è un male che piove dal cielo. È la violenza di un genere contro un altro genere».
L’opera si muove agilmente tra l’indagine e la provocazione, evitando la trappola del dramma sociale travestito da evento culturale. Al centro c’è la violenza intrafamiliare, quel territorio insidioso dove una madre scopre l’indicibile, una figlia riversa il proprio odio, un padre si rifugia nel comodo “fino a prova contraria” e un’intera platea di professionisti preferisce aggirare la verità piuttosto che affrontarla. Quel “se volete” nel titolo non lascia scampo: è tanto un cortese invito quanto una sfida lanciata al pubblico più smaliziato. «Poniamo questa narrazione costellata di interrogativi. Questo è il punto centrale del lavoro: interrogativi che vengono posti a noi in quanto persone che nella vita possono intercettare vicende come queste in qualità di testimoni esterni».
Sul palco, l’autrice non interpreta sé stessa, ma un personaggio che funge da specchio. «In scena c’è una donna alla quale viene chiesto di scrivere uno spettacolo su questo tema. Questo personaggio rappresenta tutti noi: noi che osserviamo, che siamo esterni alle vicende che avvengono dentro una famiglia, dentro una casa. Rappresento anche la nostra fragilità di fronte a queste storie».
Il copione scava alla ricerca di ciò che consente alla violenza di genere di rimanere nell’ombra, taciuta e quasi accettata. Forse, come esclama il personaggio interpretato da Maria Ariis, “il vero tabù non è la violenza, ma il dolore”. Un dolore che non sappiamo nominare né affrontare. «Siamo bravissimi a costruire missili che vanno dall’altra parte dello spazio, ma nella stessa stanza, di fronte a una persona che soffre, non sappiamo cosa fare», riflette Musso su come nel nostro contesto culturale manchino strumenti concreti per affrontarlo. «Non abbiamo gesti, non abbiamo linguaggi, non abbiamo forme».
‘Dentro’ non è un’opera sulla violenza, come sarebbe facile pensare. È sull’occultamento della violenza, un raffinato esercizio collettivo orchestrato dal patriarcato, impeccabile coreografo delle nostre strutture culturali. Musso non gira attorno alla questione e lo definisce senza troppe cortesie: «È un modello culturale che indirizza i nostri giudizi, i nostri bisogni, lo sguardo e l’ascolto sul mondo. È necessario cercare di spostare l’asse della cultura patriarcale come è stato spostato negli ultimi sessant’anni. Non bisogna mollare l’impegno. Portare l’attenzione sulla creatura umana più che sul suo ruolo nella gerarchia di potere».
Non si risparmiano critiche alle istituzioni, ai professionisti e persino a noi stessi come spettatori: «Io cerco sempre racconti che ci coinvolgano. È facile prendere una posizione di merito se i problemi sono degli altri. È molto più interessante quando ciò che avviene ci ingaggia personalmente». La violenza, dunque, non è mai una tragedia individuale, ma parte di una narrazione più ampia, una macchina ben oliata progettata per cancellarne le origini.
Il suo teatro rifugge ogni didascalia. Non si concede al rassicurante conforto del consenso, né si piega alla tanto celebrata “accessibilità”, quel mantra del marketing culturale che riduce ogni opera a una comoda compressa per menti svogliate. «Come mai i teatri sono così pieni di gente affamata di questa relazione che crea lo spettacolo dal vivo, rispetto a un’epoca in cui abbiamo un’overdose di narrazioni virtuali? Si vuole incontrare l’attore dal vivo, nella diretta dell’esperienza», spiega la regista. Eppure, non pretende di essere un monolite ideologico: «Non salgo sul palco con risposte definitive. Anche la mia posizione ideologica sulla violenza domestica e sul tabù viene continuamente messa in discussione durante lo spettacolo».
L’opera ha già superato i confini nazionali, con traduzioni in inglese e francese e una tournée americana in arrivo nel 2025. Ma prima che lo spettacolo approdi nel Nuovo Mondo, Giuliana Musso e Maria Ariis parteciperanno domani alle 18 all’incontro moderato dalla giornalista Natascia Bandecchi, un’occasione per esplorare i temi dello spettacolo e, soprattutto, metterne alla prova l’urgenza e la complessità. «Questo genere di percorsi di ricerca ha diverse fasi: la prima fase è quella dell’apertura a 360 gradi. Ti riempi di interrogativi e domande. A me piace questa postura dell’artista, più umile, più fondata sulla curiosità che sull’auto assertività», conclude Musso. E forse è proprio questa postura – la curiosità, l’umiltà di non sapere tutto – che rende ‘Dentro’ un’opera necessaria. Non per dare risposte, ma per costringerci a formulare domande da cui spesso cerchiamo di fuggire.