Tra serie tv, documentari rassicuranti e di denuncia, il content manager di Play Suisse Gregory Catella racconta le scelte del servizio pubblico
Il consumo di contenuti audiovisivi è profondamente, e rapidamente, cambiato negli ultimi anni: la televisione, il cui successo soprattutto a scapito del cinema sembrava indiscutibile, è sempre meno rilevante rispetto alle offerte ‘on demand’, dai servizi di streaming alle funzioni ‘replay’ delle stesse emittenti tradizionali. In questo contesto ci si chiede – e si chiedono soprattutto il pubblico più attento e tutte le persone coinvolte nella realizzazione di prodotti audiovisivi – quale sarà il futuro delle produzioni svizzere.
Una cosa certa è che questo futuro dipenderà, almeno in parte, dalle scelte della Ssr che, tramite la tv lineare che comunque continua ad avere il suo peso, il suo servizio di streaming Play Suisse e soprattutto tramite il Pacte de l’audiovisuel, è indubbiamente uno dei motori del sistema svizzero.
Il finanziamento pubblico delle opere audiovisive si regge infatti su tre pilastri: l’Ufficio federale della cultura, i fondi regionali e, appunto, la Ssr con il Pacte che, da quando è stato introdotto nel 1996, ha prodotto circa quattromila titoli con finanziamenti per 400 milioni di franchi. «È un accordo su finanziamenti e diritti che rinnoviamo periodicamente tra la Ssr e le sette associazioni di produttori indipendenti: in buona sostanza per ogni contributo di coproduzione, la Ssr acquista i diritti per la diffusione lineare e, da qualche anno, anche per la messa a disposizione sulla piattaforma online» ci ha spiegato Gregory Catella, responsabile delle produzioni e coproduzioni fiction e documentari e, dal 2019, content manager di Play Suisse, incontrato durante il Film festival diritti umani Lugano, sede ideale per riflettere soprattutto sul futuro di un cinema di valore sociale.
Che tipo di prodotti sostiene il Pacte?
Vengono prodotti film, documentari, cortometraggi di animazione, serie tv… Nelle produzioni diciamo “cinematografiche” siamo generalmente minoritari rispetto ai contributi dell’Ufficio federale della cultura e ai fondi regionali, mentre nei prodotti audiovisivi il finanziamento della Ssr è di solito maggioritario. Per le prime è dedicato un fondo che al momento ammonta a 10 milioni e noi partecipiamo in genere al massimo per il 20% del budget e il film inizia il suo percorso al cinema poi sulle televisioni a pagamento, sulle piattaforme di video on demand e solo alla fine di questo sfruttamento (oggi sono previsti 18 mesi) arriva in televisione e sulle piattaforme della Ssr. Le produzioni audiovisive invece le finanziamo in una percentuale più elevata, di regola oltre al 70%, e abbiamo i diritti lineari e piattaforma che partono prima e, salvo eccezioni, non è previsto il passaggio in sala.
Come si è adattato il Pacte al cambiamento del panorama audiovisivo?
Come detto il Pacte viene periodicamente rinegoziato tra le parti: ogni quattro anni ridiscutiamo le condizioni quadro e una delle cose che è cambiata, ad esempio, riguarda i diritti. Se una volta in cambio del finanziamento la Ssr otteneva solo diritti lineari, adesso ottiene anche diritti per l’on demand, così da mettere a disposizione del pubblico questi film e serie non soltanto sulla televisione lineare ma anche sulle piattaforme per un tempo più lungo.
Come potrebbe evolvere in futuro il Pacte?
Io credo che la Ssr rimarrà centrale nel finanziamento delle opere cinematografiche e audiovisive in Svizzera e che il Pacte continuerà a esistere e si adatterà al panorama dei media in continua evoluzione. Quello che però non va dimenticato è che il sostegno alle opere cinematografiche è anche un sostegno culturale per il diverso valore che questi film, il cui primo passaggio è la sala cinematografica, hanno rispetto ad altri prodotti.
E per quanto riguarda il rapporto tra tv lineare e on demand?
Si può certo prevedere che la programmazione non lineare sarà sempre più importante, anche se in Svizzera, come in altri paesi europei, il pubblico fedele alla programmazione lineare rimane abbastanza costante. È un fenomeno che ha a che vedere con l’invecchiamento della popolazione – la parte più anziana è quella più fedele alla programmazione lineare – ma non solo. Questo per noi significa dover capire come combinare le due cose, come continuare a servire un pubblico di tipo tradizionale e allo stesso tempo andare incontro alle esigenze del nuovo pubblico che non si fa più imporre delle griglie di programmi, ma che preferisce comporle in maniera autonoma.
Come funziona il processo di proposta e valutazione dei progetti?
Il primo interlocutore di un produttore cinematografico audiovisivo con sede in Svizzera è l’unità aziendale di riferimento: la Rsi per la Svizzera italiana, la Srf per quella di lingua tedesca, la Rts per i romandi e la Rtr per la parte romancia dei Grigioni. I progetti vengono valutati dalla redazione responsabile. In base alla disponibilità del budget annuale vengono confermate o meno le partecipazioni. È importante sottolineare che la proposta parte dal produttore, non è la Ssr che commissiona i contenuti.
Qual è il tasso di accettazione dei progetti?
Dipende dal tipo di produzione: per le produzioni in cui la partecipazione della Ssr è più elevata la selezione è maggiore. Ma un rifiuto iniziale può essere accompagnato da alcune proposte di miglioramento che, una volta seguite, portano all’approvazione. Nel caso di serie tv, che costano 4, 5 o 6 milioni e devono funzionare in prima serata sul lineare e poi su Play Suisse in tre lingue, lo scambio con la redazione è molto intenso, sia prima che durante la produzione.
Che tipo di valutazione viene fatta sui contenuti? Visto il rapporto teso tra la Ssr e certe parti politiche, non c’è il rischio di scoraggiare ad esempio dei documentari di denuncia sociale?
Assolutamente no e credo che lo dimostri la nostra produzione, con una grande diversità di temi e di approcci. Quello che può accadere è che se arriva una proposta per un documentario su un tema che è al centro anche di altre produzioni già sostenute, allora diciamo no o più probabilmente diciamo di cercare un taglio un po’ diverso. Lì come detto è importante il dialogo con la redazione.
La Ssr produce comunque molti documentari che potremmo definire “identitari”, che raccontano realtà del territorio senza particolare spirito critico.
Entrambi gli sguardi sono importanti: ci sono contenuti, ad esempio di argomento sportivo, che sappiamo che funzionano e che sappiamo che il pubblico segue perché sono delle serie federatrici. Ma c’è anche un altro aspetto: in un momento in cui la legittimità del servizio pubblico radiotelevisivo viene messa in discussione da iniziative popolari, il fatto di poter diffondere e pubblicare delle serie e delle produzioni che ottengono il favore del pubblico è un modo anche di segnalare che la presenza della Ssr non è residuale ma al contrario è fondamentale per l’identità stessa del nostro Paese.
Non c’è il rischio di tornare un po’ ai tempi della difesa spirituale della patria?
Non credo. Le produzioni sono fatte dalle persone e sia i produttori sia i responsabili delle varie unità documentari e fiction della Ssr sono persone inserite nella nostra contemporaneità e hanno una visione della Svizzera complessa, articolata, anche contraddittoria. Il Pacte in tutti questi anni è stato uno strumento che ha permesso e ha sostenuto anche la diversità degli sguardi sia sulla Svizzera che lo sguardo svizzero portato sulle realtà esterne. E non c’è ragione che questa cosa non continui ad esistere.
L’iniziativa per il canone a 200 franchi potrebbe essere una ragione…
Siamo ovviamente confrontati con queste discussioni e, come tutta la Ssr, discutiamo degli scenari possibili qualora questa iniziativa dovesse trovare il favore della popolazione. Ma rimango profondamente convinto che il Pacte ha senso che continui a esistere anche in un panorama media mutato.
Non ci sarebbe niente di più sbagliato che tagliare le gambe a un servizio pubblico radiotelevisivo proprio perché il servizio radiotelevisivo sostiene e permette questa pluralità di visione, di linguaggi, di racconti. E questo anche se qualcuno dice che non ha senso sostenere il cinema svizzero quando tutti vanno a vedere i blockbuster americani.
Tornando ai contenuti: potrebbero esserci forme di autocensura, per cui certe proposte non vengono neanche fatte perché si sa che la Ssr su certi temi è molto o troppo cauta?
No, c'è una selezione di generi, specialmente nella fiction, ma tutti i temi sono possibili. Proprio perché l’investimento per le fiction è più importante, sappiamo che dobbiamo raggiungere una certa mole di pubblico per poter giustificare quel tipo di investimento. Facciamo poche serie fiction comedy, per esempio, perché sappiamo che da noi come nel resto del mondo funzionano meglio il thriller e il crime.