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Una storia di aborto, umanità e lotta sociale

Gosia Wdowik ci presenta ‘She was a friend of someone else’, spettacolo nato dalle proteste per il diritto all’aborto polacche del 2016

8 ottobre 2024
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‘She was a friend of someone else’ parla di aborto, di diritti che non bisogna mai dare per scontati, della fatica di chi dedica le proprie energie per protestare contro le ingiustizie. Ma, ci spiega Gosia Wdowik, «anche se suona molto politico, penso che l’intero spettacolo sia molto privato e sia molto basato sull’esperienza: come possiamo condividere una storia, come possiamo ascoltare una storia?».

Gosia Wdowik porterà in scena, questa sera alle 20.30 al Lac di Lugano nell’ambito del Festival internazionale del teatro (www. fitfestival.ch), ‘She was a friend of someone else, preceduto alle 18 da un incontro sul rapporto tra arte e attivismo al quale parteciperanno anche Arkadi Zaides e Maddalena Giovannelli.

Uno slogan femminista degli anni Sessanta era proprio “il personale è politico”.

Sì, per me era importante fare uno spettacolo incentrato sull’aspetto umano, su come a volte ci perdiamo o su come abbiamo bisogno dell’accettazione degli altri e su quanto sia importante essere una collettività, sentirci accettati ed essere liberi con le nostre decisioni. Ecco, più che politico o personale penso sia uno spettacolo molto umano.

Facciamo un passo indietro: come è nato questo progetto? Qual era l’obiettivo di portare a teatro il tema dell’aborto e dell’attivismo?

Per me tutto è iniziato durante le proteste nere in Polonia, le più grandi manifestazioni contro l’irrigidimento della legge sull’aborto. È stata un’esperienza straordinaria di collettività e potere femminile, con le donne che sono scese in strada per tre settimane per opporsi all’idea del governo di rendere la legge sull’aborto ancora più restrittiva. Questo processo ha fatto sentire le donne davvero forti.

Tuttavia, dopo quelle tre settimane, hanno comunque cambiato la legge. Come donne, sentivamo di aver fatto un passo così importante scendendo in piazza, protestando per tre settimane, facendo tutto quel lavoro, e poi la nostra voce non è stata comunque ascoltata. Ho iniziato a parlare con le attiviste e a intervistare le attiviste per l’aborto, e mi sono resa conto che questa stanchezza di non essere ascoltate era molto presente. Ho pensato che potesse essere interessante parlare di questa parte della storia, di come ci si sente quando si lotta come attiviste ma non ci si sente ascoltate, di come ci si esaurisce e di come questo influenza il modo in cui si vuole fare un cambiamento.

Qual è stato il passo successivo?

Trovare un modo per sostenere la causa e per usare il teatro per sperimentare alcune azioni attiviste, trattando il teatro come un luogo dove provare il cambiamento sociale. Ho incontrato Agnieszka, un’attivista che è anche un personaggio della performance, e lei aveva l’idea di realizzare un’azione attivista che consisteva nel raccogliere le testimonianze di donne che avevano abortito. Abbiamo iniziato a chiedere alle donne se fossero d’accordo nel mostrare i loro volti e dichiarare di aver abortito durante lo spettacolo. Questo è stato il punto di partenza della performance. Partendo da questa esperienza di chiedere alle donne, dalla storia di Agnieszka e dal suo desiderio di cambiare le cose, e dalle interviste con le attiviste in cui parlavano della loro stanchezza, abbiamo creato lo spettacolo.

Il tema quindi non è solo la salute riproduttiva, ma la possibilità per le donne e per le persone in generale di essere ascoltate dal potere?

Sì. Per noi era molto importante rendersi conto che prima degli anni Novanta l’aborto in Polonia era legale mentre era illegale, ad esempio, nella Germania Ovest. È interessante e delicato il fatto che qualcosa che consideravi acquisito per sempre ti venga tolto. Penso che sia importante capire che dobbiamo sempre essere pronti a lottare per i nostri diritti e per le nostre libertà, anche quando sembra che non dovremmo mai più farlo.

Credo che sia un aspetto universale. Questa lotta per l’aborto è un esempio di come le persone possano lottare per cambiare qualcosa e di cosa serve affinché la società si unisca e realizzi un cambiamento in quest’epoca di forte individualismo. Come creare un’azione collettiva quando ci sono così tanti individualisti?

Qual è il ruolo del teatro in questo processo?

Penso che il teatro sia un luogo dove, innanzitutto, possiamo riflettere su certi fenomeni accaduti in passato. Per me era importante, dopo l’esperienza di queste proteste nere in Polonia, avere uno spazio dove riflettere su ciò che è accaduto, perché molte donne sono scese in strada e hanno protestato per tre settimane, ma poi hanno iniziato a rinunciare alla protesta. Hanno smesso di andarci e hanno iniziato a sentirsi in colpa.

Non penso che sia una cosa di cui doversi sentire in colpa, ma c’è un meccanismo che ti fa sentire in colpa: ti senti di non far parte di un cambiamento sociale e ti senti in colpa e non sai come agire.

Per me, innanzitutto, il teatro è un luogo dove possiamo parlare di questo e riflettere su ciò che è accaduto durante quelle proteste nere. Ma è anche, come ho detto, un luogo di prova dell’azione sociale. La nostra attivista Agnieszka aveva questa idea di fare questo coming out collettivo sull’aborto ma ci sono state molte donne che hanno detto di no.

E cosa avete fatto?

Abbiamo cercato di capire cosa c’era dietro questo no. E penso che questo sia stato abbastanza utile per l’azione di Agnieszka. Il teatro, essendo un luogo di finzione, è un luogo dove possiamo immaginare le cose. E quindi forse un luogo dove possiamo immaginare un cambiamento sociale. Ed è quello che cerchiamo di fare durante lo spettacolo.

Anche dove l’aborto è legale, questa vergogna continua a colpire le donne che vi fanno ricorso.

È una cosa che abbiamo capito quando abbiamo iniziato a parlare con le donne e abbiamo chiesto loro se sarebbero state d’accordo nel mostrare il proprio volto e dire di aver abortito. Molte di loro hanno detto che non possono farlo perché si vergognano della loro decisione, perché rendere pubblico il loro aborto potrebbe danneggiare le loro famiglie. Penso che la vergogna sia un argomento forte dello spettacolo: come possiamo, stando in un gruppo e accettandoci a vicenda, combattere contro la vergogna?