La canzone pro-Vietnam e il pentimento, l'elicottero nel cortile di Johnny Cash, l'abbraccio a Sinéad O’Connor. E tanta altra musica
Willie Nelson, Waylon Jennings, Johnny Cash, Merle Haggard, Kris Kristofferson. Sono i più famosi ‘iconoclasti’ dell’outlaw country, il country ‘fuorilegge’ di chi si è ritagliato un posto nel mondo (del country) fuori da Nashville, dove tutto si vuole ricondotto. Kristofferson, morto lo scorso 28 settembre all’età di 88 anni nella sua casa di Maui alle Hawaii, dell’outlaw country è stato pioniere non meno degli altri quattro. In principio come autore, perché i titoli con i quali è identificato – ‘Me and Bobby McGee’, ‘For the Good Times’, ‘Sunday Mornin’ Comin’ Down’, ‘Help Me Make It Through The Night’ – sono diventate hit cantate da altri. Un Grammy alla carriera nel 2014, un posto nella Country Music Hall of Fame dal 2004, nel decennio 1985-1995 Kristofferson si è unito agli altri fuorilegge Cash, Jennings e Nelson per formare The Highwayman, un ‘country music supergroup’ da tre album in studio e un n.1 (‘Highwaymen’). Un, The Highwaymen’, che un giorno fu reclamato da un omonimo gruppo folk degli anni ’50 per finire in mano agli avvocati prima e su un palco di Hollywood poi, con le due formazioni di nuovo in pace a fare musica. Ma questa è un’altra storia.
Un babbo militare che lo vuole nell’Air Force, un talento per gli sport che nel 1958 lo fa finire su Sports Illustrated, nel 1973 il giovane Kristoffer Kristofferson vince una borsa di studio per andare a studiare letteratura a Oxford. È durante il soggiorno inglese che inizia a comporre canzoni e a cantare. Tra un libro e un altro si presenta al pubblico con il nome d’arte di Kris Carson, sperando che la carriera di cantante lo aiuti a diventare un romanziere. Una volta laureato, per insistente volere della famiglia, intraprende la carriera militare, il tempo sufficiente per mollare tutto e diventare singer-songwriter. Mentre lava i pavimenti negli studi di registrazione della Columbia Records di Nashville, dove si è trasferito e ha trovato lavoro, tenta disperatamente di fare avere sue canzoni al già affermato Johnny Cash; di fronte al disinteresse di quest’ultimo, noleggia un elicottero e atterra nel di lui cortile con un bicchiere di birra in una mano e nell’altra mano la cassetta con incisa ‘Sunday Mornin’ Comin’ Down’. “Non so se Johnny fosse in casa”, dichiarerà anni dopo, “so che è stata un'invasione della privacy bella e buona”. Poco male: nel 1970 Cash incide il brano e il suo autore vince il premio per il Songwriter dell’anno ai CMA Awards, i premi annuali della Country Music Association. È del 1970 anche il primo album solista di Kristofferson, che per titolo porta il suo cognome. Contiene, tra le altre, i futuri classici ‘Help Me Make It Through The Night’, portata in vetta da Sammi Smith (un Grammy per questa versione), ‘For The Good Times’ (al n.1 nella versione di Ray Price) e ‘Me and Bobby McGee’, incisa da Janis Joplin e pubblicata sull’album postumo ‘Pearl’. Quanto basta per garantirsi dischi e concerti per i successivi quattro decenni e mezzo.
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Anno 2014, Grammy Award alla carriera
Il matrimonio con la collega Rita Coolidge porta in dote, nella prima metà dei Settanta, due Grammy per i duetti in ‘From The Bottle To The Top’ e ‘Lover Please’, ma Kristofferson tra frequentando il cinema già dal 1971: a ‘Fuga da Hollywood’ di Dennis Hopper seguiranno, tra gli altri, ‘Pat Garret e Billy The Kid’ di Sam Peckinpah (1973), ‘Alice non abita più qui’ di Martin Scorsese (1974) e, nel 1976, ‘È nata una stella’, dove recita a fianco di Barbra Streisand, Oscar alla miglior canzone (che però non è la sua). “La prima volta che l’ho visto esibirsi – scrive ora Streisand su Instagram – era al Troubadour di Los Angeles, sapevo che era speciale. A piedi nudi, strimpellando la chitarra, sembrava perfetto per la sceneggiatura che stavo sviluppando”. Nella corposa filmografia, Kristofferson è stato diretto anche da Michael Cimino (‘I cancelli del cielo’), James Ivory (‘La figlia di un soldato non piange mai’), Guillermo del Toro (‘Blade II’), fino a Ethan Hawke, che nel 2018 lo ha voluto in ‘Blaze’, l’ultimo film nel quale appare.
“Come un uccello su filo / Come un ubriaco in un coro di mezzanotte / Ho cercato a modo mio di essere libero”. Sulla sua tomba, Kris Kristofferson diceva di volere i versi di Leonard Cohen, tratti da ‘Bird on the Wire’. Nel frattempo, altre ‘lines’ sono state scritte dal mondo del country. A partire da Dolly Parton: “Che enorme perdita, che grande attore, che grande autore, che grande amico”. Poi, autocitandosi, la bionda più famosa della musica conclude con un “I will always love you”. Reba McEntire, altra stella del country, piange il “gentiluomo, anima buona e amante delle parole”; Lee Ann Rimes ricorda “un uomo epico con il cuore più grande di tutti”, Travis Tritt quello di ‘Outlaw Justice’, western del 1999 girato in Spagna, con Tritt e tre dei quattro Highwaymen. La storia dice che la prima canzone di Kristofferson fosse pro-Vietnam, da cui il successivo pentimento. “Ho avuto un calo di lavoro dopo avere suonato per i bimbi palestinesi”, disse una volta, “ma se è così che deve essere, allora sia, se sostieni i diritti umani li devi sostenere ovunque”. Non meno pieno e ‘outlaw’, rispetto al ‘pensiero dominante’ di quei giorni, fu suo sostegno mostrato a Sinéad O’Connor (1966-2023), lei fresca di foto del Papa strappata in diretta tv, fischiata sul palco del tributo a Bob Dylan, era il 1992: Kris prima la presenta come “un sinonimo di coraggio e integrità” e poi, quando il pubblico le impedisce di cantare una sola nota, la abbraccia e le dice in un orecchio “non lasciare che questi bastardi ti facciano del male”. Per lei, nel 2009, sull’album ‘Closer To The Bone’, Kristofferson avrebbe scritto ‘Sister Sinéad’.